«È stata dichiarata guerra alla libertà di stampa». Il grido d’allarme parte dalla Puglia, trasformata per due giorni nella capitale mondiale del giornalismo. Il comitato esecutivo della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), riunito al Ciheam di Valenzano, ha lanciato un appello perentorio: Israele deve consentire l’accesso della stampa internazionale nella Striscia di Gaza e negli altri scenari di conflitto.
Al tavolo, insieme a 25 delegati internazionali, sedeva anche Nasser Abu Baker, presidente del sindacato dei giornalisti palestinesi, che ha fornito un bilancio drammatico di quella che ha definito una campagna di «crimini di guerra perpetrati dall’esercito israeliano»: sono oltre 256 i cronisti uccisi sul campo.
La battaglia per entrare a Gaza
«Questo sostegno è fondamentale per continuare a denunciare i crimini in Palestina», ha detto Abu Baker. La presidente dell’IFJ, Dominique Pradalié, ha ricordato i colleghi incarcerati e uccisi, annunciando una mossa senza precedenti: la scorsa settimana l’IFJ e il sindacato francese hanno presentato una denuncia legale contro Israele per ostruzione del lavoro giornalistico. «La denuncia – ha chiarito il segretario generale Anthony Bellanger – è l’ultimo tentativo di fare pressione su Tel Aviv affinché apra finalmente Gaza alla stampa internazionale», rompendo il blackout informativo.
Sul fronte italiano, la segretaria della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi), Alessandra Costante, ha lanciato una proposta forte da portare ai tavoli europei: «Stiamo lavorando per equiparare i giornalisti agli operatori della Croce Rossa. I reporter non sono bersagli». Costante ha poi legato il tema della sicurezza fisica a quella economica: «Un giornalista economicamente ricattabile è un giornalista debole. Per questo il nostro sciopero non è stato politico, ma sindacale».
Concetto ribadito da Raffaele Lorusso, consigliere del comitato esecutivo IFJ: «In questi due giorni abbiamo parlato di libertà di stampa, ma anche di difesa dei diritti del lavoro. Una professione sempre più precaria è una professione sempre più fragile di fronte al potere».