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Bari Cronaca

Ancora violenza contro gli operatori sanitari, due equipaggi del 118 aggrediti ad Altamura

Soccorritori ancora nel mirino dei violenti nel Barese. A pochi giorni dall’episodio di Corato, altri operatori sanitari del 118 sono stati aggrediti. Questa volta è successo ad Altamura e a denunciarlo è l’Asl Bari che perla di «una violenza inaccettabile».

Stando a quanto riferisce l’azienda sanitaria gli equipaggi di un’ambulanza (autista, soccorritore e infermiera) e di un’automedica (autista, infermiera e medico) della postazione 118 di Altamura sono stati aggrediti da un paziente che avevano da poco soccorso.

Gli operatori sanitari sarebbero stati prima oggetto di minacce, spintoni e insulti da parte di una persona presente sul luogo in cui si è verificata l’emergenza per poi venire aggrediti fisicamente dallo stesso paziente nel pronto soccorso dell’ospedale. Un medico, un’infermiera e i due soccorritori hanno dovuto far ricorso alle cure mediche.

In una nota, la direzione generale dell’Asl Bari «condanna la vile aggressione ed esprime totale solidarietà e vicinanza agli equipaggi rimasti coinvolti, ai quali garantirà tutti gli strumenti legali a loro tutela», assicura. «Il lavoro prezioso dei sanitari va difeso ad ogni livello da comportamenti che, oltre a rappresentare un pericolo per l’incolumità degli operatori, possono compromettere il regolare svolgimento del servizio pubblico», dicono dall’azienda sanitaria barese.

Sul tema sono intervenuti anche Gianluca Giuliano e Giuseppe Mesto, rispettivamente segretario nazionale e regionale di Ugl Salute, esprimendo piena solidarietà agli operatori coinvolti. I sindacalisti definiscono l’episodio come «l’ulteriore conferma di una deriva pericolosa e intollerabile». Di qui l’ennesimo appello alla Regione Puglia per dotare di bodycam il personale sanitario, in particolare per chi opera nei servizi di emergenza-urgenza. «Chiediamo inoltre che si acceleri l’adozione di protocolli di sicurezza specifici e adeguati. Il personale sanitario non può e non deve lavorare nella paura», concludono Giuliano e Mesto.

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