Alfa in concerto a Bari: «Con Vecchioni amore a prima vista. La musica? Un’urgenza» – L’INTERVISTA

«Scrivere per me è un’urgenza che non passa». Un sorriso genuino, la faccia da bravo ragazzo e un cuore giallo sul petto. Alfa, nome d’arte di Andrea De Filippi, cantautore genovese classe Duemila, dopo aver calcato il palco di Sanremo e aver duettato con Roberto Vecchioni su “Sogna ragazzo sogna” (che in pochi mesi ha guadagnato un disco d’oro), è in giro per l’Italia con il tour che prende il nome dal suo nuovo album “Non so chi ha creato il mondo ma so che era innamorato”. Questa sera Alfa farà tappa al Palaflorio di Bari.

Da dove nasce il tuo nome?

«Il mio vero nome è Andrea. Alfa vuol dire inizio, principio. Io mi sento sempre un po’ all’inizio, penso di poter fare sempre un po’ di più. Per quello Alfa, è un po’ il mio motore».

Stai affrontano il tuo primo vero tour nei palazzetti. Fino a qualche anno fa l’avresti mai immaginato?

«No. Ma non avrei mai immaginato neanche Sanremo, o anche solo che questo potesse diventare un lavoro. Sognavo di fare il cantante, ma come si sogna di fare l’astronauta, il calciatore… Sai quei lavori del “figuriamoci se mi succede”. E invece…».

Qual è la prima cosa a cui pensi quando sali sul palco ogni sera?

«Tendenzialmente me la faccio sotto qualche secondo prima, perché comunque devo ancora un po’ lavorare sull’ansia. Specialmente quando i concerti sono molto grandi. È normale avere un po’ di ansia. Però diciamo che mi emoziona tanto, cerco sempre di guardare le facce, guardo loro. Le prime due canzoni mi concentro solo su quelle due o tre persone e in qualche modo mi tranquillizza questa roba qua».

Tu hai anche dichiarato che per te essere romantico è la vera rivoluzione

«Beh, la vita oggi è un po’ cinica: con il Covid, con un sacco di cose che sono successe, è normale essere un po’ disillusi. Il romanticismo è semplicemente un modo per essere un po’ più positivi e propositivi nella vita, mi piacerebbe un po’ più di vitalità nella mia generazione».

Quando hai iniziato a pensare di voler fare il musicista?

«Ho visto un video musicale di Ed Sheeran che suona la chitarra. Io già la suonavo, avevo 9 o 10 anni, ho detto wow, voglio farlo anch’io».

A poco più di vent’anni hai già partecipato a Sanremo. Come hai affrontato i pregiudizi?

«Diciamo che non è che li ho affrontati, li ho subiti molto. Però diciamo che comunque me l’aspettavo… ho cercato di aspettarmi qualunque tipo di critica possibile. Comunque prima di aver fatto Sanremo l’ho guardato per tanti anni, so cosa vuol dire. È anche abbastanza “sport nazionale” commentare i cantanti. Non è stato facile, però è andato molto bene. Non mi aspettavo andasse così bene Sanremo, sinceramente».

Ma stando lì, come ti sei sentito in mezzo agli altri Big?

«Eh mi faceva strano. Banalmente, per esempio, ero in gara con Fiorella Mannoia che ho visto con mia mamma quindici anni fa a teatro… mi faceva strano che fossi lì con lei. Io non mi sento ancora “cantante”, cioè so che lo sono, ma mi fa strano che ho dei colleghi così illustri, che fanno il mio stesso lavoro… È strano».

E poi c’è stato Roberto Vecchioni. Qual è la prima cosa che ricordi del vostro incontro?

«Mi ricordo che la prima volta che ci siam visti aveva nello zaino il mio testo, il finale di “Sogna ragazzo sogna” che ho scritto, stampato. E ne abbiamo parlato, come fosse una versione di latino. Perché poi si è creato un po’ quel rapporto professore-alunno. Lui è un uomo Incredibile, è proprio un uomo incredibile. Io gli devo tantissimo… a livello musicale, ma anche a livello umano».

Ti ha dato qualche consiglio per affrontare questo percorso?

«Assolutamente sì. Mi ha detto “si coerente con le tue canzoni e scrivi brani che ami, poi lascia che il tempo faccia il resto”».

Il tuo portafortuna è un cuore giallo, cosa rappresenta?

«È il mio modo di essere positivo e propositivo. L’ho messo Sanremo semplicemente perché volevo che uscissero le mie canzoni. Sia che piacciano o non piacciano, io sono quello che scrivo e non quello che indosso. Sanremo è uno show, quindi ci sono anche brand, ci sono anche vestiti. Insomma, c’è anche un look. Io invece, essendo nuovo, volevo farmi conoscere per la mia musica, non per quanto mi vesto bene».

Non hai paura che questa esposizione, il successo, ti facciano perdere la semplicità che ti caratterizza?

«Diciamo che ho i miei metodi per mantenermi saldo a terra. Ci sono i miei amici, le persone con cui lavoro, loro non hanno cambiato di una virgola l’approccio nei miei confronti. Mi sento tranquillo, anche se è una cosa che non sottovaluto».

Dopo il tour nei palazzetti cosa ti aspetta?

«Andrò qualche giorno in Svezia a scrivere un po’ di canzoni con degli amici e poi vediamo cosa succede. Ho una gran voglia di scrivere in realtà. Poi vedremo cosa esce fuori».

Come funziona per te il processo di scrittura?

«Ho una scrittura abbastanza di urgenza, come tipo di approccio. Ma lo faccio da molto prima che diventasse il mio lavoro. Lo farei anche se facessi tutt’altro nella vita. Per me è come bere o mangiare… è una roba a cui voglio molto bene, che mi piace fare a prescindere. A volte me lo impongo, sì, però l’urgenza non passa».

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