Zes unica, pratiche bloccate e le aziende fuggono: stop agli investimenti nel Mezzogiorno

Le istanze di autorizzazione unica? Senza risposta. Le infrastrutture da realizzare nei tempi previsti dal Pnrr? Un rebus. Il piano strategico? Mai visto. Il decreto interministeriale sul credito d’imposta? Se ne sono perse le tracce. Il risultato è che la Zona economica speciale unica del Mezzogiorno, attraverso la quale il governo Meloni intende restituire slancio allo sviluppo economico delle otto regioni meridionali, è al palo. Con molte imprese che reclamano l’immediato sblocco delle pratiche e altrettante che fuggono verso il Nord dove, nel frattempo, sono state attivate le Zone logistiche semplificate.

A preoccupare le imprese è l’inattività della Struttura di missione, chiamata a svolgere compiti di coordinamento e attuazione delle misure previste dal Piano strategico. In circa due mesi la Struttura di missione, coordinata da Antonio Caponetto, non ha evaso le pratiche relative al rilascio delle autorizzazioni uniche alle imprese intenzionate a investire sul territorio di Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Abruzzo e Molise. Eppure il decreto Pnrr aveva previsto che le pratiche non chiuse entro il primo marzo dovessero essere evase dalla Struttura di missione garantendo la continuità amministrativa col precedente regime dei commissari straordinari. Così, evidentemente, non è andata. Tanto che migliaia di imprese hanno invitato la Struttura di missione rilasciare l’autorizzazione unica nel rispetto dei termini di legge (già abbondantemente superati), mentre altre, alla luce dell’impasse, hanno deciso di sospendere gli investimenti.

Ad accrescere il caos ci ha pensato la nota con cui il coordinatore Caponetto ha chiarito agli oltre 2mila Comuni meridionali che, in attesa della definizione del Piano strategico, la Struttura di missione gestirà soltanto le pratiche relative agli investimenti nelle zone industriali, mentre sarà compito dei Comuni rispondere a tutte le altre istanze di autorizzazione unica. Peccato, però, che la legge 162 del 2023 preveda che sia la Zes unica a processare le domande in qualsiasi territorio delle otto regioni meridionali e per qualsiasi attività produttiva. E che le autorizzazioni uniche rilasciate dai Comuni dovrebbero seguire i tempi biblici della pubblica amministrazione italiana, perché non gestite secondo la procedura semplificata prevista per le Zes, oltre che radicalmente nulle, perché firmate da un soggetto diverso da quello indicato dalla legge.

Insomma, lo strumento che avrebbe dovuto mettere il turbo allo sviluppo del Sud si sta rivelando un meccanismo farraginoso e inefficace. Con un ulteriore paradosso: il dpcm 40 del 4 marzo scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 aprile scorso, ha istituito le Zone logistiche semplificate nelle regioni del Centro-Nord. Queste ultime hanno la stessa struttura e gli stessi meccanismi di funzionamento delle “vecchie” Zes meridionali, cioè procedure più snelle per far sì che le imprese ottengano le autorizzazioni uniche in tempi particolarmente rapidi. Ciò vuol dire due cose. La prima: mentre al Sud il governo Meloni tende ad accentrare tutto, creando un’unica Zes che fa capo alla Struttura di missione presso Palazzo Chigi, al Centro-Nord fa l’esatto contrario, cioè punta su un modello delle otto Zes “cassate” che è ispirato al decentramento e che fino a qualche mese fa ha prodotto risultati straordinari nel Mezzogiorno. Il secondo aspetto, però, è quello più preoccupante: alla luce del caos che regna nella Zes unica meridionale, migliaia di imprese potrebbero decidere di investire non più al Sud ma nelle regioni del Centro e del Nord. E così il rilancio del Meridione e la riduzione del divario economico si confermerebbero una pia illusione.

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