La Fondazione Agnelli aveva lanciato l’allarme quasi trent’anni fa, delineando uno scenario apocalittico per molte regioni italiane, soprattutto al Sud, Basilicata in testa. Tanto che – anche in un’ottica europea – aveva immaginato un accorpamento delle regioni in macroaree, più competitive sui mercati internazionali e più compatte a combattere lo spopolamento di molte zone dello Stivale, spingendosi a “dividere” la Lucania in due parti: Potenza e la sua provincia con la Campania, Matera e il metaponto con la Puglia.
Pertanto, non meraviglia l’ennesimo allarme lanciato sul calo demografico che interessa tutte le zone della Penisola, ma che nel Mezzogiorno assume toni da vera emergenza sociale e di coesione territoriale, la stessa che aveva cercato di tenere salda l’azione dell’allora ministro Fabrizio Barca.
Archiviata definitivamente la fase pandemica del biennio 2020-21, nel successivo biennio 2022-23 si assiste a una ripresa della mobilità interna della popolazione e delle immigrazioni dall’estero, è la fotografia dell’Istat sui flussi migratori interni e internazionali della popolazione residente. In particolare le realtà regionali più colpite sono tutte nel Mezzogiorno, dove il numero di cancellazioni non è riequilibrato da altrettante iscrizioni in Basilicata (con una differenza del 5,7 per mille), in Calabria (meno 5,3 per mille), in Molise (una diminuzione del 4,4 per mille) e in Campania (che fa registrare un calo del 4 per mille).
E se la Campania è al quarto posto nel saldo negativo, in termini assoluti conquista la prima posizione della classifica nazionale tra le regioni da cui si parte di più (28,8 per cento delle cancellazioni dal Mezzogiorno), seguita da Sicilia (24,1 per cento), con la Puglia che conquista il terzo gradino con il 18 per cento. Invece, in termini relativi, rispetto alla popolazione residente, il tasso di “emigratorietà” più elevato si registra in Calabria (quasi nove residenti per mille emigrano verso le regioni centro-nord), mentre tassi sopra il sette per mille si registrano per Basilicata e Molise, con la provincia centro-settentrionale più attrattiva per chi arriva dal Mezzogiorno è l’area metropolitana di Bologna (6,7 per mille).
Il Mezzogiorno, invece, fa gola per la cosiddetta “migrazione di ritorno”, ovvero dei cittadini italiani che dall’estero decidono di tornare in Italia. Un ritorno in patria dettato da molteplici fattori, «ciascuno dei quali gioca un ruolo più o meno significativo sulla decisione di rientrare in Italia: come il susseguirsi delle crisi economiche, l’incertezza causata dall’emergenza sanitaria in seguito alla pandemia e l’effetto delle politiche di defiscalizzazione per incentivare il rientro dei lavoratori, che possono aver determinato il compimento del progetto migratorio e la fine della permanenza all’estero».
nella fotografia dell’Istat i rimpatri arrivano in buona parte dai Paesi che, in passato, sono stati mete di emigrazione italiana. «Nel biennio 2022-23, ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano Germania e Regno Unito che, insieme, originano complessivamente il 29 per cento dei flussi di rientro; l’8 per cento proviene dalla Svizzera e il 5,8 per cento dalla Francia. Tra le provenienze da oltre oceano, il 5,4 pr cento dei rimpatri arriva dal Brasile, il 5,3 per cento dall’Argentina e il 5,2 per cento dagli Stati Uniti». Insomma, i cittadini italiani residenti all’estero rientrano prevalentemente nelle regioni del Centro-Sud (52,2 per cento del totale).