Vito Ladisa, socio ed ex ad di Finlad: «Io, big della ristorazione ora mi dedico all’editoria»

«Fare impresa significa trasformare sogni in progetti», una filosofia che per Vito Ladisa è stata una guida nel percorso tracciato in qualità di socio ed ex Ad della Finlad Holding che controlla le principali aziende del gruppo (ristorazione, distribuzione e semilavorati alimentari, logistica, facility, immobiliare), dando vita ad una impresa che conta 6000 dipendenti, 500 automezzi, 17 stabilimenti con 100.000 mq di spazi impegnati ogni giorno in tutta Italia per fornire prodotti di qualità.

Una storia cominciata nel 1998 e condivisa con suo fratello Sebastiano. La prima sfida è stata quella di fare impresa al Sud, in Puglia. E poi ce ne saranno state tante altre…

«Tante, e per tutte l’impegno ha avuto un solo comune denominatore: affrontare le avversità con coraggio, assumendosi le responsabilità non in maniera permanente. Questo rafforza l’organizzazione e ti motiva anche a compiere passi importanti come quello che oggi posso fare io. Affidare ad un board giovane ed altamente formato i tanti progetti in essere, e dedicarmi esclusivamente ad una nuova “impresa”. Quella culturale che si riferisce alla Fondazione dedicata a mia madre Donata Carella, attenta da tempo alle fasce deboli e all’antimafia sociale, ed oggi all’editoria, alla corretta informazione e alle connessioni con i giovani».

In questo lungo percorso, che ruolo hanno avuto i momenti di crisi?

«Ci hanno ancor più unito e motivato a non mollare. Io sono abituato a guardare avanti per raggiungere l’obiettivo trovando soluzioni e non cercando colpe. La speranza e la credibilità di una impresa dipendono da chi la guida che ha il dovere di proteggerla perché, se si produce lavoro, si costruisce futuro. Abbiamo fatto tanto, con grande fatica. Adesso la famiglia è fuori dalle decisioni strategiche. Nei prossimi anni, sono sicuro, ci sarà una forte crescita in tutti i segmenti di business».

Il presente è “L’Edicola del Sud”. Come si fa a decidere di far nascere un giornale in un momento di crisi profonda per l’editoria?

«Il mercato dell’editoria è sicuramente in compressione e questo obbliga, in particolare a chi sta muovendo i primi passi in questo mondo, ad “atti di coraggio”. . L’idea di far nascere un giornale significa dare valore al concetto di Identità e di Verità. Detesto i silenzi e penso all’editoria come a opera sociale, oltre che intellettuale. Certamente i bilanci hanno la loro importanza, ma è nel servizio alla comunità che si concretizza il vero ruolo dell’Informazione».

Raggiunto il picco delle 11.000 copie tirate e dei 45.000 lettori di domenica scorsa, “L’Edicola del Sud” sta lavorando a un piano industriale che richiederà dunque il suo impegno esclusivo. Su quale obiettivo si concentrerà maggiormente?

«Consolidare il patto di fiducia con i nostri lettori e renderli protagonisti della sfida che potranno condividere ancor più fortemente con la nostra redazione. Declinando la notizia attraverso un modo moderno di informare, in coerenza con linguaggi nuovi e tecnologie avanzate. Puntiamo a costruire una piattaforma multimediale che sia piazza (non solo virtuale) di comunità. Di ogni comunità, dalla più estesa alla più piccola. Non voglio anticipare molto perché racconteremo tutto nei dettagli attraverso un lancio dedicato. Di sicuro siamo pronti per dare concretezza ad un progetto nazionale che vede protagonista L’Italia. Mentre “L’Edicola del Sud” e “L’Edicola dello Sport” continueranno a tenere alta l’attenzione sui territori.».

Quando ha pensato di fondare un nuovo giornale?

«L’idea di fondare un giornale è praticamente cresciuta con me. L’ho sempre desiderato perché il mondo dell’editoria mi ha sempre appassionato, fin da bambino, come già detto. Mi alzo ogni mattina alle 4.30 per leggere in tutta calma i giornali ed è un rito al quale non riesco a rinunciare. Quando sono all’estero, poi, aggiungo ai giornali italiani quelli del luogo in cui soggiorno e la cosa diventa anche molto divertente. Riferimenti personali a parte, la realizzazione di questo desiderio condiviso con mio fratello Sebastiano e con il compianto procuratore della Repubblica Franco Sebastio, è arrivata nel novembre 2021. Immaginare un giornale, vederlo pian piano nascere, scegliere un nome, la grafica, poi assistere alla sua stampa, è stata una grande emozione. Compreso il fatto di ritrovarlo in edicola l’indomani in abbinata con uno storico giornale sportivo come “La Gazzetta dello Sport”. Oggi, che lavoriamo su tempi e organizzazioni rodate, abbiamo chiari i nostri obiettivi e sappiamo che è arrivato il momento di un nuovo passaggio. Quello che aggiungerà all’editoria “tradizionale” dei tasselli in più che ci consentiranno di dialogare molto da vicino con un pubblico diversificato. I giovani, per esempio».

A proposito di servizi alla collettività, che ruolo può giocare “L’Edicola del Sud”?

«Il desiderio è quello di essere davvero al servizio dei territori che raggiungiamo, con un’attenzione particolare alle aree periferiche. Non ci piacciono le mediazioni e i compromessi, la nostra idea è sempre stata quella di raccogliere le istanze dei cittadini per trovare soluzioni. Essere un tramite per la crescita delle nostre città. Non restare in silenzio».

Sarà ancora una informazione popolare?

«Se parliamo di una informazione accessibile a tutte e tutti ma – soprattutto – per tutte e tutti, dico assolutamente di sì. Anche se penso che ogni opera abbia diversi livelli di lettura per quello che trasmette. Il parlare semplice e diretto è il livello più alto di cultura».

Come concilia in questo momento il suo essere imprenditore ed editore?

«I soldi servono all’imprenditore per “intraprendere” e fare una vita misurata. Investire in cultura è il modo migliore per lasciare la giusta testimonianza di quello che si è. E io, in queste due facce della medaglia, mi ritrovo benissimo. Per questo sarò accanto alla nostra redazione, e lavorerò su nuovi progetti e investimenti. Sono fortemente movitato perchè comincia una storia nuova, di grande stimolo».

Domanda inevitabile. Adesso il gruppo avrà un futuro senza di lei?

«Abbiamo deciso negli anni di avere governance autonome e autorevoli e ci siamo dotati di dirigenti e quadri capaci in ogni legal identity. E’ a loro che va il mio grazie e “viva il lupo”».

Come si definisce?

«Un artigiano che ama quello in cui si impegna. Sono contro il capitalismo finanziario e speculativo. La Fondazione saprà raccontare anche questa parte di me: l’umanità di costruire lavoro e dignità».

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