Verso l’8 marzo, Flavia Brevi: «Meno “motti” e più azioni. La politica agisca presto»

«Il settore in cui registriamo il divario più ampio tra uomini e donne è quello della comunicazione, del marketing e della pubblicità pubblicità. C’è ancora troppa resistenza al cambiamento». La pensa così Flavia Brevi, responsabile comunicazione della “Fondazione Libellula”, da anni in prima linea nel combattere le differenze di genere.

Flavia Brevi, come si manifesta il gender gap in Italia, in particolare nel mondo del lavoro?

«Nel mondo del lavoro si ramifica e assume diverse sfaccettature. Probabilmente la più oggettiva è quella salariale, il famoso “gender pay gap”: secondo ciò che emerge dalla nostra Survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) 2024, il 60% delle donne ha una retribuzione inferiore al collega uomo a parità di ruolo, responsabilità e anzianità di servizio. È una discriminazione che va ben oltre la vita lavorativa: l’Inps ci ha ricordato poche settimane che una retribuzione inferiore coincide con una pensione inferiore. C’è poi l’accessibilità ai ruoli apicali: il 90 per cento vede gli uomini in posizione di leadership in netta maggioranza (alla stessa domanda, nel 2022, questa percentuale era “solo” al 71 per cento. E parallelamente, c’è “l’ascensore professionale”: il 2 per cento vede gli uomini crescere professionalmente più velocemente. Più di 6 donne su 10 sentono circolare l’idea che una lavoratrice che fa carriera ha usato la leva della seduzione per ottenere i suoi obiettivi. Circa una su due sente dire che le donne non hanno competenze da leader, o che in generale le donne sono meno competenti degli uomini. Sono dicerie che depotenziano la lavoratrice».

Quali sono le professioni con il divario più ampio?

«Per adesso possiamo dire che il settore principale da cui provengono le 11.201 donne che hanno risposto alla nostra survey sono del settore comunicazione, marketing e pubblicità, ma che le imprenditrici, le manager e le dirigenti riscontrano livelli di molestia più alti della media».

La questione delle molestie continua a essere centrale. Perché è così difficile cambiare la situazione?

«Perché quando parliamo di questi argomenti c’è ancora molta resistenza al cambiamento, la prendiamo sul personale in quanto possibili agenti di discriminazioni, anziché metterci nei panni di chi subisce le discriminazioni. Pensiamo subito: “Ma quindi ora non potrò più dire nulla?” anziché “chissà se lei si è sentita offesa per quella cosa che ho detto?”. Togliamo (e togliamoci i sensi di colpa), accettiamo che tutte e tutti dobbiamo imparare ancora e possiamo migliorarci. Non c’è nulla di male nell’ammetterlo».

Quali sono le politiche o iniziative attualmente in atto in Italia per affrontare le differenze di genere nel mondo del lavoro?

«Ci sono norme e policy antimolestie e antiviolenze, sportelli di ascolto e servizi come quello della Consigliera di Fiducia, una professionista esterna all’azienda che può aiutare nel caso di molestia o discriminazione, c’è la formazione continua, politiche di promozione per la genitorialità condivisa… Le iniziative non mancano ed è un bene che le aziende siano disposte a “passarsi” queste buone pratiche tra di loro».

Come pensa che il governo italiano o le aziende possano aiutare le donne a superare le sfide legate alla conciliazione tra lavoro e famiglia?

«Mettendosi davvero in discussione. Meno “motti”, più azioni concrete, che coinvolgano gli uomini, perché quella dell’equità e della meritocrazia è una questione che tocca anche loro. Non risolveremo i problemi delle mamme e delle caregiver pensando solo alle mamme e alle caregiver».

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