«Sarebbe un errore derubricare a ignoranza o a boutade le recenti esternazioni del ministro Lollobrigida sulla “sostituzione etnica” e del presidente del Senato, Ignazio La Russa, secondo cui “nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”». Ad affermarlo è Michele Laforgia, presidente de La Giusta causa, in un post pubblicato sulla propria pagina Facebook dal titolo “Verso il 25 aprile”.
Per Laforgia, quanto affermato dall’esponente del Governo Meloni e della seconda carica dello Stato, merita «la massima attenzione», proprio perché sono parole pronunciate «da esponenti istituzionali, che dovrebbero rappresentare l’intero Paese e non solo il partito di appartenenza. Un partito, vale la pena ricordarlo, che continua ad avere nel proprio simbolo la fiamma, evocativa della tomba di Mussolini».
Laforgia vede nelle parole di Ignazio La Russa «anche l’idea che la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, sia una norma provvisoria, desueta, ormai priva di qualsiasi valore. Naturalmente – scrive l’avvocato barese – non è così, perché quel divieto, come sanno gli studenti di giurisprudenza del primo anno (La Russa è avvocato) è tuttora vigente, appartenendo alle disposizioni finali, mentre la parte transitoria della XII disposizione è quella, al secondo comma, che, generosamente, sanciva solo per un quinquennio la limitazione del diritto di voto e l’ineleggibilità dei capi responsabili del regime fascista».
Da decenni, sottolinea Laforgia, «curiosamente sempre a ridosso del 25 aprile», torna il “mantra” «che l’antifascismo appartiene al passato, e anche per questo ritengono legittime le attuali organizzazioni neofasciste, tuttora presenti e attive, in Italia e in Europa. Mai dichiarate fuorilegge nonostante l’esplicito richiamo, non solo nei simboli, al passato Ventennio, e schierate, da sempre, al fianco dell’attuale partito di maggioranza relativa. Un rapporto – prosegue – che né il MSI, né Fratelli d’Italia hanno mai dismesso, perpetuando una ininterrotta linea di continuità con il tragico passato del nostro Paese: la fiamma, evidentemente, è ancora viva».
Per Laforgia «non si tratta di battute folcloristiche di scarso rilievo, ma di una precisa opzione politica e ideologica, più che evidente nella postura che lo stesso governo ha assunto con l’adozione, d’urgenza, di alcuni provvedimenti-simbolo, dal decreto legge anti rave all’indomani dell’insediamento del Consiglio dei Ministri al cosiddetto decreto Cutro, che ha risposto all’ennesima strage dei migranti con l’abrogazione della protezione speciale, e cioè con una ulteriore, incredibile e inumana, oltre che del tutto irragionevole, mortificazione delle persone straniere che già vivono e lavorano in Italia, in palese violazione dei diritti umani e dei principi fondamentali della Costituzione».
La Carta costituzionale, spiega Laforgia, «nasce infatti in opposizione al fascismo e, storicamente, dalla Resistenza. Piaccia o no, la Carta fondamentale dello Stato repubblicano è conseguenza della lotta antifascista, dell’unione delle forze politiche che hanno combattuto la dittatura, contro chi, a Salò, voleva difenderla. L’antitesi al regime è nei “principi fondamentali”: dall’art. 1 (“l’Italia è una Repubblica democratica”) all’art. 3 (che sancisce, fra l’altro, l’uguaglianza senza distinzioni di razza e di opinioni politiche) sino al misconosciuto art. 10, che riconosce allo “straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”, il “diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”».
«Nessun fraintendimento, quindi, e nessuna nostalgia del passato – conclude l’avvocato -. La lotta per la democrazia e l’attuazione dei principi costituzionali è più viva che mai, anche se, fortunatamente, non ha i caratteri sanguinosi della guerra civile o quelli, più recenti, delle stragi consumate dall’eversione neofascista, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. Il fascismo è ancora “autobiografia della nazione”, come scrisse Piero Gobetti, morto a 25 anni per le conseguenze delle aggressioni squadriste. Per scrivere un’altra biografia tutti i sinceri democratici dovrebbero festeggiare, in piazza, il 25 aprile: la data della fine del fascismo e della nascita della nostra Repubblica».