Ci sono storie che vale la pena raccontare e questa è una di quelle. Comincia poco meno di un anno fa, quando il comune di Trani decide con una delibera di Giunta di partecipare al progetto “Galattica – Diamo spazio ai giovani”, la strategia messa in campo dalla sezione Politiche giovanili della Regione Puglia, ottenendo un finanziamento di 50.000 euro. Sono serviti a realizzare progetti nei quali sono stati coinvolti sei partner del comune, uno dei “nodi” della rete di Galattica, operanti in ambito sociale, culturale ed economico, coordinati dal settore Welfare dell’ente, con l’assessora Alessandra Rondinone e il dirigente Alessandro Attolico.
In tutte le iniziative realizzate in circa undici mesi, i ragazzi sono stati protagonisti e, alla fine del percorso, ecco quello che è venuto fuori, nelle parole del responsabile di uno dei partner di Galattica, Vincenzo Rutigliani, della Comunità Oasi 2, a testimonianza di un percorso di impegno civico e formativo.
Cosa è venuto fuori dal progetto Galattica?
«Galattica ha come obiettivi generali la partecipazione e il protagonismo giovanile, tramite l’educazione alla legalità, per creare una consapevolezza volta alla cura della cosa comune e che si traduce poi in forme di cittadinanza attiva. Nel nostro caso abbiamo utilizzato la media education e i ragazzi hanno prodotto un podcast che riassume la loro visione critica della realtà che li accoglie e con la quale possono crescere facendosi operatori di cambiamento».
La Comunità Oasi 2 di cosa si è occupata?
«Rispetto alle nuove generazioni l’impegno della Comunità Oasi 2 è volto anche allo stimolo dell’impegno civico di tutti quei giovani che stanno raggiungendo una maturità nella dimensione sociale e che si stanno dimostrando all’altezza delle sfide che il nostro tempo gli lancia per offrirgli al contempo i mezzi necessari ad esprimersi ed interagire tra di loro facendo rete».
Che cosa si intende per antimafia sociale?
«Per antimafia sociale si intende quel fenomeno teso al riscatto di strutture confiscate alle mafie locali e al loro reimpiego nella valorizzazione di percorsi rivolti alla comunità, che abbiano un impatto positivo sulle sue parti più fragili. Questo nel nostro caso si è tradotto nella riconversione di un capannone industriale di proprietà del boss Annacondia: da un luogo di attività criminose oggi è diventato un luogo di cura dove si elaborano percorsi di reinserimento lavorativo e sociale per persone con disturbi da dipendenze patologiche. Questo modello si è rivelato vincente tanto da renderci desiderosi di esportarlo presso la Comunità C.a.s.a. don Tonino Bello di Ruvo di Puglia, dove oggi gli utenti curano, mediante percorsi di crescita e professionalizzanti, gli orti con prodotti in via di certificazione biologica e operano nel laboratorio di trasformazione alimentare per la linea di prodotti ‘’Buoni! Come fatti in C.a.s.a.’’».
Si può creare consapevolezza anche a tavola?
«La tavola è lo spazio della socialità per antonomasia. Tramite la relazione in un ambiente che favorisce lo scambio, consente di intavolare discorsi importanti e così di valorizzare il dialogo e la scoperta dell’altro. Il cibo ha un suo portato e i prodotti che selezioniamo nella linea “Buoni!” permettono di comunicare la cura che desideriamo tramandare. La dieta implica un’etica ed è determinante per la salute di un corpo; allo stesso modo tramite i discorsi che intavoliamo possiamo farci un’idea dello stato di salute di un corpo sociale».
C’è una storia in particolare che vale la pena raccontare?
«La storia di ciascuno dei nostri ospiti funge da testimonianza. Passando nelle nostre Comunità apprendono a dare un nuovo valore al lavoro e alla sussistenza che viene in parte garantita dalle loro stesse mani. Il telos è verso la responsabilizzazione al loro mantenimento e a quello della comunità tramite diverse attività che spaziano dalla coltivazione degli orti alla trasformazione di ortaggi e frutta nel nostro laboratorio. Per coloro che si impegnano nei percorsi di riqualificazione professionale c’è poi la prospettiva di autonomia, generata dall’esperienza garantita dalle borse lavoro e sostenuta nell’ambiente tutelante della comunità stessa».