Già nell’autunno scorso, il presidente Ance Puglia, Gerardo Biancofiore, aveva lanciato un «grido d’allarme» per l’imminente stop al superbonus, «serve offrire una soluzione concreta a un problema che riguarda migliaia di lavoratori, famiglie e imprese che hanno avviato i lavori e ora rischiano di trovarsi in gravi difficoltà».
Le conseguenze
Infatti lo stop improvviso al superbonus ha determinato pesanti conseguenze, in primis sull’occupazione nel settore edile: è quanto emerge dal report mensile giugno 2024 dell’Inps. Le ore di Cig ordinaria sono passate da 18.330.495 di maggio 2023 al 26.330.340 del maggio scorso, con un incremento del 43,64 per cento. Il focus sull’edilizia mette in luce come il trend di incremento sia particolarmente rilevante in edilizia: se nell’industria la Cig ordinaria è cresciuta (sempre nel rapporto maggio 2023-maggio 2024) del 43,42 per cento, nel comparto edile l’incremento è stato del 46,01 per cento.
Sul territorio
Chiaramente, dopo il Nord-Est, l’area del Paese che ha registrato l’incremento più sensibile nel ricorso alla Cig ordinaria, è il Mezzogiorno (più 51,02 per cento). Fra le regioni del meridione più toccata, c’é la Puglia con un incremento del 243,38 per cento. «Com’era purtroppo ampiamente nelle previsioni lo stop improvviso e inatteso del superbonus inizia a far sentire le sue pesanti ripercussioni anche sull’occupazione.
Non è difficile prevedere un ulteriore peggioramento nei prossimi mesi. Un confronto con le associazioni di categoria, che è mancato del tutto, avrebbe consentito di definire una exit strategy meno traumatica e meno impattante anche sull’occupazione», afferma il presidente di Federcepicostruzioni, Antonio Lombardi che aggiunge «Di qui a qualche mese numerose aziende potrebbero non essere più in grado di sostenere un portafogli di crediti da superbonus per centinaia di migliaia di euro, sempre più difficilmente liquidabili, e a condizioni sempre più onerose».
La norma
Non potrà più essere utilizzata l’opzione dello sconto in fattura o della cessione del credito al posto della detrazione. L’oggetto dell’intervento non è il bonus, bensì la cessione del relativo credito, che ha potenzialità negative sull’incremento del debito pubblico. Inoltre, non sarà più consentita la prima cessione dei crediti d’imposta relativi a specifiche categorie di spese; resta invece inalterata la possibilità della detrazione degli importi corrispondenti.
Si abrogano le norme che prevedevano la possibilità di cedere i crediti relativi a spese per interventi di riqualificazione energetica e di ristrutturazione importante di primo livello (prestazione energetica) per le parti comuni degli edifici condominiali, con un importo dei lavori pari o superiore a 200 mila euro; spese per interventi di riduzione del rischio sismico realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali o realizzati nei comuni ricadenti nelle zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3, mediante demolizione e ricostruzione con successiva alienazione dell’immobile.
Si introduce anche il divieto, per le pubbliche amministrazioni, di essere cessionarie di crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali maturati con tali tipologie di intervento. Infine, con le nuove norme, ferme restando le ipotesi di dolo, si esclude il concorso nella violazione, e quindi la responsabilità in solido, per il fornitore che ha applicato lo sconto e per i cessionari che hanno acquisito il credito e che siano in possesso della documentazione utile dimostrare l’effettività delle opere realizzate.