Strage di Bologna, 42 anni dopo: il ricordo di Puglia e Basilicata

C’era chi sperava di potersi godere le meritate vacanze estive dopo la maturità e chi si trovava solo di passaggio. C’era anche chi tornava da un soggiorno di studi a Londra e chi invece era solito recarsi nel capoluogo emiliano per delle cure mediche. Immagini di vita comune. Fotografie di vite innocenti che alle 10,25 di 42 anni fa furono improvvisamente stroncate dalla deflagrazione più rappresentativa di quelli che, poi, passeranno alla storia come le stragi della “strategia della tensione”. La strage della stazione di Bologna, nella cui sala d’aspetto fu fatto esplodere un ordigno, è un attentato terroristico che squarciò per sempre la coscienza del Paese. Una vicenda che rimane ancora oscura, per molti suoi aspetti. Depistaggi, piste alternative, verità mai venute a galla. È il marasma di silenzi e omertà attraverso cui si mossero i magistrati negli anni successivi, per quella che rimane una pagina tremenda ancorché indimenticabile della storia recente. Tra le 85 vittime, dieci furono quelle originarie della Puglia e della Basilicata: ben un ottavo del rendiconto doloroso.

Sette delle dieci vittime pugliesi erano residenti nel capoluogo levantino. Tra queste, vi erano i tre membri della famiglia Diomede Fresa: il padre Vito, sessantaduenne e noto professore presso la facoltà di Medicina dell’Università di Bari, dove dirigeva l’istituto di Patologia generale, la moglie Errica e il figlio quattordicenne Cesare Francesco. La vittima barese più giovane era Sonia Burri, sette anni, che attendeva di salire su un treno per Roma. Qualche giorno dopo, i soccorritori ritroveranno la sua bambolina rossa nascosta tra le macerie. A perdere la vita assieme a Sonia, fu anche Patrizia Messineo, di origini baresi, che si trovava sul piazzale antistante mentre attendeva l’arrivo del papà. Le due, che erano sorelle, erano accompagnate da Silvana Serravalli, 34 anni, barese e maestra alle elementari.

Tra le vittime più giovani anche il diciottenne Giuseppe Palumbo, terzo di undici figli, che la mattina del due agosto si trovava nella sala d’aspetto della stazione di Bologna in compagnia di tre turiste straniere e del fratello Antonio.

A perdere la vita fu anche il lucano Pio Carmine Remollino, 31 anni. Nato a Bella, il giovane lucano, con la sua famiglia, aveva vissuto poi a Baragiano. Il padre Antonio racconterà in seguito, di aver appreso la notizia della morte del figlio soltanto due giorni dopo, leggendo i quotidiani che tracciavano il triste bilancio della strage.

Per ricordare le vittime baresi, il primo cittadino del capoluogo pugliese, Antonio Decaro, deporrà oggi una corona d’alloro presso la lapide esposta sui muri di Palazzo di Città. Il ricordo di quella mattinata, in cui fiumi di sangue innocente furono versati sui binari della Stazione Centrale di Bologna, rappresenta, ancora oggi, per i familiari delle vittime, una ferita insanabile. Per questo, nei mesi successivi alla strage, e per cercare la verità nell’attentato che portò via i propri cari, i familiari delle vittime hanno istituito un’associazione in loro memoria, che ancora oggi cerca di fare chiarezza. Una chiarezza che, però, non potrà mai cancellare il doloroso ricordo di ciò che accadde 42 anni fa.

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