Sprechi, burocrazia e inefficienze: Puglia e Basilicata come Bucarest. L’allarme: «Così i fondi sono a rischio»

Pastoie burocratiche, mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione, giustizia civile pachidermica, deficit infrastrutturali, sprechi nella sanità e trasporto pubblico locale inefficiente: limiti e problemi che all’Italia costano 225 miliardi e che fanno sprofondare regioni come Puglia e Basilicata in coda alla classifica europea della qualità istituzionale. A calcolare la cifra choc è la Cgia di Mestre che lancia pure l’allarme sui fondi messi a disposizione del nostro Paese: «Non solo siamo in ritardo con la messa a terra dei progetti inseriti nel Pnrr, ma rischiamo anche di perdere i fondi europei che non dovessero essere spesi entro la fine dell’anno».

L’oggetto dell’analisi condotta dalla Cgia è il dossier dell’università di Göteborg sul funzionamento della macchina pubblica, dal quale emerge come le regioni italiane non brillino per qualità ed efficienza nel confronto con quelle che si trovano in altri Paesi europei. Su 208 località monitorate in tutto il continente, la prima realtà italiana si trova al centesimo posto ed è la Provincia autonoma di Trento. Desolante è il quadro che emerge dalla lettura dei dati riferiti all’Italia meridionale. Delle ultime 20 posizioni della graduatoria europea, ben cinque sono occupate da regioni del Mezzogiorno: la Puglia è 190esima seguita dalla Sicilia, la Basilicata 196esima, la Campania 206esima e la Calabria, penultima a livello europeo, 207esima. Peggio fa solo la regione di Bucarest-Ilfov che è fanalino di coda a livello continentale. La graduatoria tiene conto dell’indice europeo di qualità istituzionale che tiene conto della percezione, da parte dei cittadini, della qualità, dell’imparzialità e della corruzione della pubblica amministrazione presente in un determinata area.

Rispetto all’università di Göteborg, la Cgia è andata oltre e ha quantificato in 225 miliardi l’ammontare degli sprechi di denaro pubblico. Come si arriva a questa cifra? Semplice: calcolando voci come i 57 miliardi di costo annuo sostenuto dalle imprese nei rapporti con la pubblica amministrazione, senza dimenticare gli oltre 55 miliardi di debiti commerciali degli enti pubblici e i 40 miliardi di ulteriori esborsi legati al deficit infrastrutturale nei trasporti.

È in questo scenario complessivo che si inseriscono due questioni cruciali per l’Italia e, in particolare, per il Sud: l’attuazione del Pnrr e la spesa dei fondi europei. Ed è qui che la Cgia lancia l’allarme: «Entro il 31 dicembre 2023, data di scadenza di attuazione del settennato 2014-2020, dobbiamo spendere i restanti 29,8 miliardi erogati da Bruxelles, di cui dieci di cofinanziamento nazionale. Se non riusciremo a centrare questo obiettivo, buona parte dei 19,8 miliardi che l’Europa ci ha messo a disposizione da almeno nove anni andrà perduta». La “colpa” è della difficoltà di adattamento della pubblica amministrazione alle procedure europee, ma anche del personale insufficiente e spesso poco motivato. «Specificità – conclude la Cgia – che condizionano qualità e produttività dei servizi soprattutto al Sud».

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