«Nel breve termine vivremo periodi difficili ma resto ottimista sul futuro. Questo shock accelererà la transizione energetica. Sempre che, ovviamente, il conflitto non degeneri». Michele Sabatino insegna storia economica all’Università della Basilicata. Per lui la crisi nell’approvvigionamento delle materie prime era prevedibile.
Professore, com’è possibile che l’Europa dipenda così tanto dalle risorse russe?
«Perché abbiamo rinunciato all’Africa».
Bisognava mettere in campo una politica neocolonialista?
«No, non dico questo. Abbiamo rinunciato, però, a condividere con loro delle opportunità di sviluppo consegnandoli nelle mani della Cina».
Si è preferito Putin?
«Purtroppo sì. In un’ottica di differenziazione è stato un errore. Ho viaggiato molto in Africa e mi creda, non ho mai visto un europeo lì per affari. Gli asiatici, invece, sono tantissimi».
Neanche un francese?
«No ma soprattutto sono Italia e Germania ad essere rimaste indietro. Ora ci vorranno dieci anni per rielaborare delle politiche per l’Africa. La Cina è avanti almeno di venti».
Cosa avrebbe dovuto fare l’Italia?
«Anzitutto i rigassificatori. Oggi ci avrebbero dato l’opportunità di fare arrivare più gas dall’America. Le faccio un esempio: io sono siciliano. Per due anni è stato bloccato il progetto di realizzazione dell’impianto a Porto Empedocle (Agrigento). Solo due settimane fa il Tar ha dato il via libera. Ora inizieranno i lavori ma ci vorranno almeno tre anni prima di vederlo operativo».
Colpa della politica?
«Sicuramente non abbiamo avuto una classe dirigente lungimirante».
Gli aumenti dei costi delle materie prime sono tutti giustificabili dalla guerra oppure no?
«Il ministro Cingolani ha detto chiaramente che sono in atto delle dinamiche speculative, soprattutto sui carburanti. Produttori e distributori, evidentemente, fanno leva sull’eccesso di preoccupazione delle persone».
Cosa bisogna aspettarsi sul piano economico?
«I prossimi saranno tre anni difficili. Scordiamoci quella ripresa su cui stava lavorando il governo per uscire dalla crisi causata dalla pandemia. Nel medio periodo, però, vedo solo opportunità, sempre che la guerra non degeneri».
Anche senza materie prime?
«Una Unione Europea unita sotto il piano politico, economico, energetico e militare può ancora dire la sua sul piano internazionale. Sono convinto che questa crisi accelererà l’integrazione».
E se non fosse così?
«Non c’è più spazio nel mondo per gli stati nazionali. I governi europei sono già in campo affinché non si torni indietro».
Oltre alla crescita del Pil, nel breve periodo, bisognerà riporre nel cassetto anche la transizione energetica?
«Assolutamente no. Anzi, questa crisi darà una accelerata allo sviluppo in quella direzione. Così come il Covid ha rilanciato le politiche di digitalizzazione così farà la guerra in Ucraina sul piano energetico».
Le rinnovabili quindi batteranno definitivamente il carbone?
«È inevitabile, anche perché sono le uniche che possono renderci indipendenti, liberi dall’importazione».
Alle fabbriche, sempre con meno chip e semiconduttori, cosa succederà?
«Sul piano dei materiali gli investimenti tecnologici dovranno studiare le alternative. Nel breve periodo, però, dobbiamo aspettarci anche il fermo delle produzioni. Ripeto, non saranno anni facili ma ne usciremo più forti».
Lo Stato dovrà rimettere in campo le politiche di sostegno, a cominciare dal ricorso massiccio alla cassa integrazione?
«Sarà inevitabile».
Dopo la crisi ci sarà un mondo meno globalizzato?
«Tutt’altro. Nel breve sicuramente sì. Ci sarà un aumento del reshoring (aziende che scelgono di tornare in Italia, ndr). Sul medio e lungo termine, però, a vincere sarà una globalizzazione meno selvaggia e più moderata».










