Sanità, l’allarme Gimbe: «L’autonomia differenziata farà collassare la sanità»

Le regioni meridionali sono quelle più in difficoltà nel garantire i Lea, i livelli essenziali di assistenza e sia nel 2020 che nel 2021, ultimi anni presi come riferimento, non ce n’è una tra le prime dieci posizioni. È quanto emerge dal report della Fondazione Gimbe su “L’autonomia differenziata in sanità” realizzato per esaminare le criticità del testo del Ddl Calderoli e analizzare il potenziale impatto sul Servizio sanitario nazionale delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute.

La Calabria occupa l’ultima posizione ed è risultata inadempiente secondo il Nuovo sistema di garanzia (Nsg) perché ha registrato un punteggio insufficiente nell’area della prevenzione (32,73 su 60), nell’area distrettuale (48,18 su 60) e nell’area ospedaliera (48,44 su 60).

Tra le regioni meridionali spicca la Puglia che occupava l’undicesima posizione nel 2020 e la tredicesima nel 2021. Nel periodo 2010-2019, la percentuale regionale di adempimento ai Lea, è stata del 67,5%, inferiore alla media nazionale del 75,7%.

Ciò significa che il 32,5% delle risorse assegnate nel periodo non è stato utilizzato per fornire servizi ai cittadini. Nel 2020, il punteggio totale della regione rispetto all’adempimento dei Lea è stato di 206,7 su 300. È stata considerata adempiente secondo il nuovo sistema di garanzia, grazie a un punteggio più che sufficiente nelle aree della prevenzione, del distretto e degli ospedali. Nel 2021, il punteggio totale degli adempimenti è salito a 209,3 su 300, ma la Puglia è scesa al tredicesimo posto nella classifica a vantaggio di Abruzzo e Basilicata.

«Complessivamente questi dati», spiega Cartabellotta, presidente della fondazione, «confermano che in sanità, nonostante la definizione dei Lea nel 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali. Siamo oggi davanti ad una “frattura strutturale” Nord-Sud che compromette qualità dei servizi sanitari, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita, alimentando un imponente flusso di mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti», sottolinea il presidente.

Proprio sulle conseguenze dell’autonomia differenziata sul sistema sanitario nazionale, la fondazione Gimbe verrà sentita nei prossimi giorni in commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

«Alla maggior parte dei residenti al Sud non sono garantiti nemmeno i Lea», evidenzia Gimbe nel report.

«Nel 2022 a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 82,6 anni (media nazionale), si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, un gap di 3,2 anni. E in tutte le otto regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali», si legge sempre nel rapporto. «Se da un lato non si intravedono risorse né per rilanciare il finanziamento pubblico della sanità, né tantomeno per colmare le diseguaglianze regionali – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – dall’altro con l’autonomia differenziata le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno», conclude il numero uno del Gimbe.

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