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San Nicola, il messaggio di padre Giovanni Distante: «Ci insegni a fare del bene» – FOTO e VIDEO

Interrogato su quale debba essere il ruolo dei cristiani oggi, padre Giovanni, priore della Basilica, fa riferimento a quello che è il “manifesto” della felicità cristiana: il discorso delle Beatitudini. «Dobbiamo riscoprirci felici - dice - e la felicità viene da Cristo». Cosa ci insegna San Nicola in questo tempo? «Il nostro patrono è il…
(foto di Andrea De Vecchis)

Interrogato su quale debba essere il ruolo dei cristiani oggi, padre Giovanni, priore della Basilica, fa riferimento a quello che è il “manifesto” della felicità cristiana: il discorso delle Beatitudini. «Dobbiamo riscoprirci felici – dice – e la felicità viene da Cristo».

Cosa ci insegna San Nicola in questo tempo?

«Il nostro patrono è il santo dell’ecumenismo. È, cioè, il santo della Chiesa unita, che ci esorta a lavorare per l’unità dei cristiani. A partire dagli insegnamenti evangelici, ci invita ad aspirare alla santità, senza dimenticare la nostra umanità. E il fatto che la sua venerazione parta da Bari e si promani verso il mondo, fa di questa città una terra di dialogo, una terra di incontro».

E in questo, qual è il ruolo dei Domenicani?

«La nostra missione è quella di predicare e questo lo facciamo non solo dall’ambone, ma cerchiamo di proclamare la verità del Vangelo anche attraverso l’insegnamento. In questo, ci facciamo forti del messaggio nicolaiano: essere uno in Cristo. Siamo un ordine che ricerca e insegna la verità e fa propria la missione, che la Chiesa è chiamata a fare in questo tempo storico, di accogliere l’altro, a prescindere dalle diversità, che arricchiscono ciò che siamo: il corpo di Cristo».

E qual è il ruolo dei cristiani oggi?

«Ciò che auspico che i cristiani riscoprano il valore della felicità. Una felicità, però, che si rifaccia a quella descritta da Cristo nel discorso delle Beatitudini, spoglia, cioè degli orpelli del superfluo. “Beati i poveri in spirito” dice Gesù o “beati gli operatori di pace”. Tutte piccole, grandi cose, che si possono e si devono realizzare nella vita di tutti i giorni. È questo ciò che ci deve identificare come Chiesa, ma soprattutto come cristiani e uomini».

Povertà, pandemia, giovani precari. Come si colloca la Chiesa in questo mappamondo frastagliato?

«Diciamocelo: la Chiesa, gli enti, le parrocchie, negli ultimi anni sono stati i grandi assenti nei dibattiti sociali. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo: i cristiani, in quanto tali, devono tornare protagonisti dei grandi problemi sociali del nostro tempo. Una volta, la Chiesa aveva la forza di preparare i cristiani anche alla vita politica. Non nel senso “partito”, ma nel senso etimologico del termine: interessarsi alla città. E la città è fatta di poveri, mendicanti, malati. È lì che dobbiamo tornare. Per questo, abbiamo recuperato la tradizione della donazione dei maritaggi, trasformandola e donando a tre famiglie della città aiuti sotto forma di borse di studio e aiuti economici. Che sia fatto sempre più spesso ma soprattutto, come ci insegna San Nicola, sia fatto “silenziosamente, gratuitamente, nottetempo”».

Foto e video di Andrea De Vecchis

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