Ristoratori in difficoltà: «Viviamo da 3 anni un incubo. La politica ci deve considerare»

Dopo le richieste di aiuto e gli appelli alle istituzioni, i ristoratori baresi stanno cominciando seriamente a pensare di chiudere le proprie attività. Fare fronte alle spese che si moltiplicano sta erodendo i risparmi accumulati dopo anni di duro lavoro e ad essere maggiormente a rischio sono le piccole realtà a conduzione familiare. Come racconta Vito Zotti, proprietario della pizzeria L’Antico Arco a Cellammare, piccolo comune alle porte di Bari. «Per il momento non abbiamo ancora chiuso, stiamo rinviando da mese a mese – spiega – ma solo perché se chiudiamo non sappiamo che cosa succederà, qui a lavorare siamo solo io e mia moglie perché dopo il Covid siamo stati costretti a rinunciare all’aiuto dei collaboratori».

Bollette che sono schizzate alle stelle così come il costo delle materie prime, aumentate di circa il 30-40%, per un’attività che ha fatto della scelta degli ingredienti e dell’offerta di qualità ai clienti un marchio di fabbrica negli ultimi 21 anni. Ma adesso i costi di gestione così alti sono diventati insostenibili. «Avevamo un bel gruzzoletto di risparmi accumulato in così tanti anni di lavoro – continua a raccontare Vito Zotti – ma nel tempo siamo stati costretti ad attingervi e non è rimasto molto ormai. A giorni riceveremo la bolletta bimestrale e ulteriori tasse da pagare a novembre, circa 3mila euro».

La situazione di crisi generale, sta incidendo anche sul volume della clientela, in un circolo vizioso di diminuzione dei consumi da parte delle famiglie, anch’esse strette nella morsa del costo della vita che aumenta. Si rinuncia sempre di più ad uscire e a spendere per servizi che non sono ritenuti di primaria necessità. A questo si aggiungono gli anni di pandemia dai quali si è appena usciti che hanno già messo a dura prova le attività commerciali, bar e ristoranti. «Prima della pandemia il nostro era un locale molto frequentato. I clienti sono diminuiti con il Covid, soprattutto per la paura dei contagi, visto anche che non abbiamo un locale molto grande. Facciamo fatica a racimolare un incasso che ci permette di stare tranquilli e rientrare nei costi di gestione, solo domenica sera per esempio, abbiamo chiuso con poco più di 300 euro e abbiamo chiuso la pizzeria alle 21,30».

Per i ristoratori il problema ormai non è più solo esclusivamente economico, ma politico. Anche se dallo Stato e dalle istituzioni delle risposte non sono arrivate, e gli esercenti stanno perdendo la speranza che la situazione possa migliorare e tornare ad una auspicata normalità. «Ci stanno togliendo anche la possibilità di scendere in piazza – conclude Zotti – siamo persone in netta sofferenza e ci siamo rassegnati. Inizio a dubitare dell’efficacia del processo democratico. Ho tre figlie da mantenere che vanno ancora a scuola, devo dare loro da mangiare e garantire tutto quello di cui hanno bisogno, ma sono tre anni che viviamo in un incubo. Le piccole attività non sono per nulla supportate, già siamo costretti a fronteggiare la concorrenza delle grandi catene. Se chiudiamo noi piccole realtà locali, viene meno anche tutto un indotto di produttori e agricoltori locali. E questo la politica non lo sta considerando».

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