Redditi pro capite: al Sud più bassi del 25%. Nel 2021 sono cresciuti meno della media nazionale

A fronte di una inflazione che sfiora il 12 per cento, il reddito degli italiani si sta riprendendo molto lentamente dopo la crisi pandemica. La crescita è minima se confrontata con l’aumento dei prezzi: pari solo all’1,5%. In sei regioni su 20, nel 2021 rispetto al periodo pre Covid, i redditi si sono contratti (diciotto province su centosette). Il Mezzogiorno fa peggio della media nazionale, fermandosi all’1,2%. Un dato che acuisce la differenza con il resto del Paese, tranne con il Nord-Est dove i redditi sono aumentati solo dello 0,4%. I dati diffusi dall’istituto Tagliacarne e di Unioncamere, relativi al 2021 sul 2019, delineano, soprattutto, le nette differenze territoriali, con un reddito pro capite al Sud che risulta inferiore del 25% rispetto al dato italiano. In direzione opposta i dati relativi a Puglia e Basilicata: nel primo caso i guadagni da lavoro delle famiglie sono aumentati solo dello 0,5%; in Lucania 1,7%. Nel confronto tra le regioni guida la Lombardia, dove si concentra il 20,3% del reddito complessivo degli italiani, seguita da Lazio (10,4%) ed Emilia Romagna (8,9%). Ma guardando alla classifica dei valori pro capite sempre nel 2021 è il Trentino Alto Adige con 24.036 euro a conquistare il primo posto confermando la posizione già acquisita nel biennio precedente.

Bene la provincia di Taranto. Male Foggia.

Prendendo in considerazione i dati provinciali, invece, è Taranto a registrare il maggior incremento dei redditi pro capite: più 1,5 per cento. Segue Bari, su dello 0,9 per cento, Brindisi e Lecce, 0,5 per cento. In decrescita il reddito pro capite, invece, nella provincia di Foggia, con un calo medio dell’1 per cento. Nella Bat, infine, il dato resta sostanzialmente invariato: -0,1 per cento. A livello nazionale, sono in tutto 18 le province per le quali il recupero tra il 2019 e il 2021 in termini di reddito pro capite non si è compiuto. Se Prato e Rimini sono al di sotto del dato 2019 rispettivamente del 5,9% e del 4,7%, accompagnate però da crescita o stabilità della popolazione (come nel caso di Firenze), per altre province la riduzione riscontrata (superiore al 2%) si accompagna anche a una contrazione della popolazione, come nel caso di Venezia, Fermo, Aosta, l’Aquila, Teramo e Pescara, aspetto che denota un maggior deterioramento dell’indice. C’è un dato che riguarda le province, però, che travalica anche le canoniche differenze Nord-Sud. le province di minor dimensione demografica (circa un quarto del totale, aventi meno di 231 mila abitanti) fanno registrare un incremento solo dello 0,9%, laddove il reddito pro capite di queste aree è già più basso dell’11,4% rispetto al valore medio italiano (17.499 euro contro 19.761 euro). Per contro, nelle province più grandi e nelle aree metropolitane la crescita del reddito disponibile è stata tra il 2019 e il 2021 dell’1,6% e il livello pro capite è superiore di 6,7 punti rispetto alla media Italia. Gli incrementi più alti si registrano soprattutto a Rieti (+9,8%), Latina (+9,0%), Caserta (+7,9%), Viterbo (+7,5%) e Grosseto (+7,4%). Secondo il presidente di Unioncamere Andrea Prete, «questi dati dimostrano che le famiglie sono state meno colpite delle imprese dalla crisi pandemica anche grazie alle politiche di sostegno attivo messe in campo dai diversi governi, registrando un aumento a valori correnti dell’1,5% del reddito disponibile familiare a fronte di un calo dello 0,8% del Prodotto Interno Lordo (Pil) nel Paese tra il 2021 e il 2019. Preoccupa però la situazione del Mezzogiorno – conclude Prete – che vede ben 22 province con un reddito disponibile pro-capite nel 2021 inferiore di oltre il 25% alla media nazionale».

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