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Quante vite distrutte dalla malagiustizia: decine di pugliesi e lucani in cella da innocenti. Il distretto di Bari in cima alla classifica regionale

Arrestate, esposte all’immancabile gogna mediatica, devastate nelle loro vite private e professionali, tenute per mesi in una cella o ai domiciliari per poi essere scagionate da qualsiasi accusa e risarcite con poche migliaia di euro: una sorte che, nel 2021, è toccata in tutta Italia a 565 persone, molte delle quali in Puglia e in…

Arrestate, esposte all’immancabile gogna mediatica, devastate nelle loro vite private e professionali, tenute per mesi in una cella o ai domiciliari per poi essere scagionate da qualsiasi accusa e risarcite con poche migliaia di euro: una sorte che, nel 2021, è toccata in tutta Italia a 565 persone, molte delle quali in Puglia e in Basilicata. I dati contenuti nella relazione annuale sulle misure cautelari personali e sulle riparazioni per ingiusta detenzione restituiscono la fotografia di una giustizia sempre più malata e sempre meno credibile, nelle regioni del Sud come in altre località del Paese.

Partiamo dal distretto di Corte d’appello di Bari che comprende i circondari dei Tribunali dello stesso capoluogo pugliese oltre che di Foggia e di Trani. Qui, nel 2021, sono stati 15 i casi di persone ingiustamente detenute e dunque indennizzate dallo Stato con complessivi 418mila euro. Numeri in calo rispetto al 2020, quando i 68 episodi di ingiusta detenzione e gli oltre tre milioni e 250mila euro di risarcimenti avevano proiettato Bari al quarto posto della classifica dei distretti di Corte d’appello con più persone ingiustamente arrestate e al quinto dei distretti in cui lo Stato aveva dovuto spendere le cifre più alte per gli indennizzi. Oggi, invece, Bari è fuori dalla top ten in entrambe le (poco lusinghiere) graduatorie.

Quanto al distretto di Corte d’appello di Lecce, che comprende i circondari di questa stessa città oltre quelli di Taranto e di Brindisi, i casi di ingiusta detenzione sono stati 13 nel 2021 a fronte dei 39 del 2020, mentre le riparazioni si sono ridotte da un milione e mezzo a poco più di 326mila euro.

Se la situazione sembra migliorare negli uffici giudiziari di Bari, Lecce e dintorni , lo stesso non si può dire per Lecce. Qui il numero di casi di ingiusta detenzione è invariato: sette nel 2020, altrettanti nel 2021. Cresce notevolmente, però, l’ammontare degli indennizzi, probabilmente legati ai più lunghi periodi di custodia cautelare ai quali sono state sottoposte le vittime della malagiustizia. Se nel 2020 erano stato sborsati 417mila euro di indennizzi, nel 2021 la somma ha sfiorato i 549mila.

E in Basilicata? Nel distretto di Corte d’appello di Potenza i casi di persone ingiustamente finite in carcere o ai domiciliari prima di essere scagionate da qualsiasi accusa sono stati tre nel 2021, uno in meno rispetto all’anno precedente. Anche qui, tuttavia, è cresciuta la cifra liquidata dallo Stato per indennizzare le persone: poco meno di 39mila euro nel 2020, addirittura più di 62mila nel 2021.

I numeri registrati al 31 dicembre scorso in Puglia e in Basilicata, però, non fanno altro che allungare ulteriormente la lista delle vittime di ingiusta detenzione ed errori giudiziari, oltre che accrescere la cifra riconosciuta dallo Stato alle tante (anzi, troppe) persone illegittimamente private della libertà in Italia. Dal 1992 al 31 dicembre 2021, si sono registrati 30.017 casi di ingiusta detenzione: vuol dire che, in media, si sono registrati poco più di mille innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che supera gli 819 milioni e 277 mila euro in indennizzi, per una media di circa 27.309.240 euro l’anno. Nel 2021 i casi di ingiusta detenzione sono stati 565, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 24 milioni e mezzo di euro. Rispetto al 2020 il calo è netto per quanto riguarda i casi e la spesa. Le cause? La pandemia continua a far sentire i suoi effetti sulle Corti d’appello, incaricate di smaltire le istanze di riparazione per ingiusta detenzione, ma soprattutto la tendenza dello Stato a respingere la stragrande maggioranza delle domande o a limitare l’importo degli indennizzi.

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