I numeri, come gli autori del dossier precisano in premessa, sono da considerarsi «in difetto rispetto alla reale portata del fenomeno». Il quadro che emerge sfogliando il primo report dei sopravvissuti agli abusi sessuali da parte del clero italiano, stilato dalla Rete “L’Abuso” in collaborazione con l’associazione internazionale Eca Global, è comunque agghiacciante: sono 418 i casi di preti pedofili censiti in Italia nell’arco di 13 anni, di cui due in Basilicata e addirittura 25 in Puglia.
Compilato sulla base delle denunce delle vittime, il report prende in considerazione soltanto i presunti abusi sessuali compiuti su minori da parte di sacerdoti e, dunque, esclude le violenze perpetrate da catechisti, educatori, animatori e laici attivi a qualsiasi titolo in ambito ecclesiastico. Un perimetro abbastanza ristretto, eppure sufficiente a restituire una fotografia tutt’altro che rassicurante. Dei 418 preti pedofili censiti in Italia, 164 riguardano sacerdoti condannati, 166 denunciati e 88 anonimi, cioè casi in cui le vittime non hanno voluto rendere pubblica la loro vicenda o sui quali è ormai caduta la prescrizione. Non si può escludere, però, che il fenomeno abbia una portata ancora più ampia, se si pensa agli episodi probabilmente insabbiati o non denunciati dalle vittime per un qualsiasi motivo. Venendo alla dimensione locale, in Puglia si parla di 25 sacerdoti di cui otto condannati, dieci denunciati e sette rimasti anonimi. In Basilicata, invece, i casi riguardano due prelati per i quali è stata pronunciata una sentenza di condanna. Numeri preoccupanti, sebbene lontani da quelli di regioni come la Lombardia, in testa alla classifica con 69 preti pedofili, seguita dal Veneto (40), dalla Sicilia (39), dal Piemonte (37) e dalla Campania (34).
Quali riflessioni scaturiscono da questi dati? La prima riguarda la prescrizione. Molti casi, infatti, risalgono a molti anni fa e, di conseguenza, non possono più essere vagliati ed eventualmente puniti dalla magistratura. Eppure, nel 1991, l’Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia che, «nell’interesse superiore del minore», impone che si proceda con tutti gli sforzi possibili ad accertare la verità e a impedire il ripetersi degli abusi. «In 32 anni – spiega Francesco Zanardi, presidente della Rete “L’Abuso” – l’Italia non ha saputo o voluto adeguarsi alla Convenzione. Il termine di prescrizione è stato raddoppiato, ma solo in seguito alla ratifica della Convenzione di Lanzarota, ed è comunque insufficiente se si pensa che al lungo tempo che spesso è necessario perché la consapevolezza dell’abuso maturi e si arrivi a una denuncia».
La seconda riflessione riguarda il «basso livello di indagini» sugli abusi. «Quasi sistematicamente – continua Zanardi – nei casi in cui un solo minore denunci di aver subito violenze da parte di un sacerdote, l’autorità giudiziaria non indaga per accertare l’eventuale presenza di altre vittime. E, sebbene spesso ometta di denunciare gli abusi anche sotto il profilo morale, la Chiesa ha ragione quando afferma di aver fatto la propria parte: in Italia non ha potere legislativo né giudiziario, sicché si muove nelle inadempienze e nei vuoti legislativi lasciati dallo Stato, non certo nell’interesse superiore del minore». Ecco perché, con l’aggiunta di nomi e cognomi, il report sarà a breve inviato alle Procure generali, al Comando generale dei carabinieri e ai vertici della polizia, nonché alle Nazioni Unite e all’Unione europea. «In più – conclude Zanardi – chiediamo l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente su tutti i casi di abuso sessuale di bambini da parte del clero e di rendere obbligatoria per tutti, anche per il personale religioso della Chiesa, la segnalazione di qualsiasi caso di presunta violenza su minori alle autorità civili».