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Parla Paolo Verri, il direttore del Comitato Matera 2019: «Classe politica inadeguata» – L’INTERVISTA

«Che cosa si poteva fare a Matera? Tanto non si poteva, si doveva fare e non si è fatto», a parlare è Paolo Verri, che dal 2011 al 2020 ha diretto con successo la candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura in qualità di Direttore del Comitato Matera. L’inversione di marcia, la consapevolezza di…

«Che cosa si poteva fare a Matera? Tanto non si poteva, si doveva fare e non si è fatto», a parlare è Paolo Verri, che dal 2011 al 2020 ha diretto con successo la candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura in qualità di Direttore del Comitato Matera. L’inversione di marcia, la consapevolezza di se’ per i materani inizia da qua. O forse no. Forse da prima.

Che cosa è accaduto in quegli anni professore Verri?

«Quando è finita la sbornia dell’industrializzazione a tutti i costi è iniziata una diversa consapevolezza del sud. Noi ci siamo ritrovati con i ragazzi nati negli anni Ottanta e Novanta che avevano girato l’Europa, che avevano fatto l’Erasmus e che hanno iniziato a guardare la loro terra con occhi diversi: come luogo di accoglienza, di ricchezza, di tesori».

La grande rivoluzione per Matera è partita dalla base dunque?

«Non c’è dubbio. Erano in tanti, un gruppo di giovani che guardavano al patrimonio e non alla produzione. Vede in quel momento è avvenuto un miracolo, c’era intanto una ottima governance, la stessa Regione era stata la prima a farsi partecipe del comitato promotore. Non aveva più spazio il campanilismo. Potenza parteggiava per Matera. Questi ragazzi, la base, arrivavano da tutti i luoghi della Lucania, ma anche dalla Puglia e ad un certo punto in questa romantica visione non vedevano ostacoli neanche nel treno che qui arriva lento. E’ stato un modo per aprirsi all’Europa. I materani hanno cambiato la geografia del sud».

Poi che è avvenuto?

«Tutto questo movimento non aveva persone da accontentare, agiva solo per il meglio, già quando è stato scelto Joseph Grima come direttore qualcuno si è sentito colpito. Perché non avevamo preso il grande intellettuale con origini lucane. Intanto qualcosa è cambiato, la politica intendo, Adduce allora sindaco perde le elezioni, ne arriva un altro di sindaco che tenta cambiamenti. Ma c’era la Fondazione e Adduce ne diventa presidente, le dico solo che per parlare con il nuovo primo cittadino io stesso sono stato costretto ad una anticamera lunghissima. Quando riesco a parlargli gli faccio capire che nulla poteva mutare, l’Europa aveva promosso quel progetto».

E questa impasse si supera?

«Sì. Produciamo un documento per i tre anni successivi che rafforzasse tutte le iniziative intraprese. Consideri che c’erano 54 milioni tra sponsor e finanziamenti il 10 per cento andava conservato per il futuro, perchè non ci si doveva fermare».

E dopo?

«Un po’ la pandemia, ma anche le nuove logiche politiche e tutto viene distrutto. Torna in auge il campanilismo. Vede vanno chiariti dei concetti, noi puntavamo sì a far divenire il turismo un motore economico, ma non pensavamo affatto di distruggere il resto. Il turismo andava aggiunto alla ricerca, alla tecnologia, per esempio il centro di geodesia spaziale non è diventato ciò che immaginavamo. La capitale d’Europa doveva essere un punto di partenza non di arrivo. Un punto di partenza per l’innovazione, la ricerca, l’accoglienza, l’Europa, il mondo. Matera nella nostra visione non era un satellite, non era sola, era ed è un pezzo della Lucania, considerando tutti i suoi paesini meravigliosi, identitari».

E ora, che cosa si può fare?

«Quel gruppo di giovani ora più maturi dovrebbe rinascere».

E crede che siamo in tempo?

«Io mi auguro che arrivi una classe dirigente giovane, quella attuale è inadeguata. Perchè è la nuova generazione che può andare oltre le parentele e i campanilismi».

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