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Parla Annarita De Nicolò: «Le forze dell’ordine vanno ascoltate. Così cerchiamo di prevenire i suicidi»

«Nessuno chiede alle forze dell’ordine: “come stai?”. Questo provoca una discrepanza tra dirigenti e operatori che a lungo andare trascina gli ultimi nel buio, e il suicidio è lì da venire. Il mio ruolo è proprio questo: ascoltare gli operatori, condurli per mano come una madre e sensibilizzare gli apparati dirigenti». Annarita De Nicolò è…

«Nessuno chiede alle forze dell’ordine: “come stai?”. Questo provoca una discrepanza tra dirigenti e operatori che a lungo andare trascina gli ultimi nel buio, e il suicidio è lì da venire. Il mio ruolo è proprio questo: ascoltare gli operatori, condurli per mano come una madre e sensibilizzare gli apparati dirigenti». Annarita De Nicolò è una counselor, una figura che viene impiegata nelle relazioni di aiuto. Annarita ha una certa “familiarità” con le forze dell’ordine. Lo racconta, quando parla di come sia nato il suo progetto e ricorda suo zio, maresciallo della Guardia di Finanza. Lui è stato la stella polare di “Parlami di te” il progetto che propone percorsi di formazione ponendosi l’obiettivo di arginare il senso di solitudine e debolezza degli operatori di polizia. Ma, all’orizzonte, c’è già un altro progetto: si chiama“Gente Milano Domani”.


In cosa consiste “Parlami di te”?
«Si tratta di un progetto che, attraverso percorsi di formazione, di prevenzione e momenti supportivi ha l’obiettivo di arginare il senso di solitudine e di impotenza, reale o percepita, degli operatori di polizia, di lavorare sulle loro emozioni, del tutto normali, che vivono e provano. Questo ci consente di contenere il disagio sia professionale che personale, cercando di rendere l’individuo consapevole delle proprie emozioni, delle propria resilienza e del proprio empowerment, lavorando al contempo sulla prevenzione al suicidio. Con il Sindacato di Polizia Coisp e Penitenziaria UILPA abbiamo avviato un supporto alternativo allo sportello interno alle sedi di appartenenza, proprio per il timore e la paura che gli operatori vivono nel parlare, legato all’applicazione dell’articolo 48 e delle sue conseguenze».


Come stai pensando di implementare questo servizio?
«Stiamo facendo nascere una nuova associazione, “Gente Milano Domani” che, mediante il lavoro in rete di PIù professionisti, offre agli operatori delle Forze di Polizia diversi servizi, creando un “ponte di comunicazione” tra loro e i rispettivi datori di lavoro, al fine di tutelare il proprio benessere psicofisico e diminuire il numero di questi eventi tragici».


Ma come è nato questo progetto?
«Tutto è cominciato nove anni fa. Mio zio era maresciallo della Finanza e abbiamo intrapreso insieme questo percorso. Lui aiutava molto gli operatori in forte stress. Come? Con una semplice pacca sulla spalla, quella che oggi manca. Ho cominciato così con un supporto, che ancora oggi porto avanti, in forma totalmente gratuita e anonima».

Cosa c’è all’origine dell’emergenza suicidi nelle forze dell’ordine?
«Le cause sono molte. Comune è il disagio creato da un intervento ad alto stress, per esempio, un vigile del fuoco che salva una vita dalle macerie. Sul fatto, gli operatori, “sedati” dall’assuefazione, non si rendono conto delle emozioni che provano, ma torneranno a rimuginarci. Anche la discrepanza con gli apparati dirigenti ha un forte impatto e tutto ciò crea una stanchezza psico-fisica che, a lungo andare, può deteriorare l’operatore. Io cerco di condurli a esprimere le proprie emozioni e i propri disagi e lo faccio facendo loro capire che ci sono all’inizio, li conduco per mano per uscire dal tunnel ma poi rimango sempre lì, proprio come fa una madre».


Questa discrepanza di cui parla esiste anche in altre realtà lavorative. Come mai nelle forze dell’ordine l’epilogo suicidio è più presente che altrove?
«Le forze di polizia hanno l’arma. Il contatto costante con essa rende più semplice arrivare a quell’epilogo. I militari, invece, la usano raramente e infatti, il suicidio, nell’Esercito per esempio, avviene mediante altre forme che lo lasciano passare inosservato».


Come fanno i pubblici ufficiali a rivolgersi a te?
«Io ho cominciato sola, sul campo, anche durante la mia attività di educatrice. Mi trovavo a parlare con le forze dell’ordine e chiedevo loro: “Come stai?”. E non mi sono mai accontentata della risposta: “Sono abituato”, perché sulla situazione di stress l’operatore ci pensa e ripensa, ci rimugina costantemente».


Che ruolo giocano le istituzioni nella prevenzione dei suicidi tra i militari e i poliziotti?
«Fondamentale, anzi, vorrei fare anche un appello alle classi politiche. Occorre rinnovare i regolamenti delle forze dell’ordine: sono ottocenteschi e non più appropriati alla società che è cambiata, alle nuove esigenze dell’uomo. C’è bisogno di norme a favore dei reali bisogni degli operatori. Noi come associazione siamo disposti a collaborare, ma anche io personalmente: in tutti questi anni ho raccolto un “bagaglio” di esperienze che porto nel cuore e sono pronta a lavorare con le istituzioni per tradurle in concrete azioni politiche».

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