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Ottimiste e in crescita: ecco le medie imprese. Rivincita del Mezzogiorno sul Nord Italia

Le medie imprese industriali del Mezzogiorno corrono più di quelle del resto d’Italia. Nel 2023 l’87 per cento stima aumenti di fatturato, contro il 76 di quelle del Centro Nord, e il 92 per cento dell’export, contro l’81. Guardando al futuro, il 40 per cento prevede un significativo incremento della propria quota di mercato e…

Le medie imprese industriali del Mezzogiorno corrono più di quelle del resto d’Italia. Nel 2023 l’87 per cento stima aumenti di fatturato, contro il 76 di quelle del Centro Nord, e il 92 per cento dell’export, contro l’81.

Guardando al futuro, il 40 per cento prevede un significativo incremento della propria quota di mercato e sei su dieci investirà in digitale e green entro il 2025.

I dati diffusi ieri dall’area studi di Mediobanca, Istituto Tagliacarne e da Unioncamere registrano un Mezzogiorno tutt’altro che passivo dal punto di vista industriale. Mentre si fa fatica a riequilibrare la spesa pubblica del Paese, fortemente squilibrata a vantaggio di chi vive da Roma in su, la classe imprenditoriale meridionale ha continuato a premere sull’acceleratore.

In tutto si tratta di una realtà produttiva composta da appena 361 imprese che realizzano complessivamente il 12,6 per cento del valore aggiunto manifatturiero del Mezzogiorno. Solo in Puglia se ne contano 75, hanno un fatturato totale di 3,5 miliardi e sfiorano gli 11 mila dipendenti.

Numeri che rendono il Tacco d’Italia la seconda regione per numero di medie imprese industriali del meridione, seconda solo alla Campania. La maggiore dinamicità è confermata, infatti, anche dai risultati conseguiti nell’ultimo decennio.

Tra il 2012 e il 2021, queste aziende hanno registrato una crescita del fatturato del 44,4 per cento (contro il 40 delle altre). La loro produttività è cresciuta del 33,1 per cento rispetto al +31 del resto d’Italia e la loro competitività è aumentata di 29,6 punti percentuali rispetto a un incremento di 15,3 p.p. delle altre, con rilevante ampliamento della forza lavoro (+29,3 per cento contro +20,7). Anche il 2022 si è chiuso con un incremento del fatturato nominale delle medie imprese meridionali pari al +20,9 per cento (+5,5 in termini reali) che supera quello delle altre aree (+16,1 per cento nominale, +1,4 reale).

«Non esiste un unico Mezzogiorno a cui attribuire un’indiscriminata etichetta di area depressa e senza speranza, ma più Mezzogiorni, alcuni dei quali intraprendenti e ponte di collegamento con il Nord», ha affermato Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca. La provincia di Catania, ad esempio, ha una densità imprenditoriale superiore a quella di Forlì-Cesena, Pesaro-Urbino e Parma. È fondamentale valorizzare le iniziative imprenditoriali di successo del Sud, certamente nell’ambito delle medie imprese, e diffonderle nelle aree meno sviluppate. I giovani, frequentemente presenti nelle amministrazioni locali del Sud, devono essere protagonisti del riscatto: essi possono avere un ruolo nell’ammodernamento e nell’efficientamento della macchina amministrativa, condizione essenziale per fare del Mezzogiorno un’area business friendly e pienamente ricettiva della grande occasione rappresentata dal Pnrr».

La voglia di diventare grandi

Sempre nel report presentato ieri da Mediobanca, Tagliacarne e Unioncamere, emerge che , in risposta all’instabilità del contesto attuale, il 48,6 per cento delle medie imprese del Mezzogiorno ritiene utile incrementare la dimensione aziendale (contro il 47,8 per cento delle Mid Cap delle altre aree) e la stessa percentuale ritiene necessario favorire l’ingresso di competenze più evolute nel proprio Cda (32,1 per cento negli altri territori). Inoltre, il 28,6% delle medie imprese del Sud ha in progetto di aprire il proprio capitale a soci finanziari (rispetto al 13% nelle altre aree) e l’11,4% prevede di far ricorso al capitale proprietario (contro il 6,8% nelle altre aree).

Risulta altresì importante una corretta gestione delle catene di fornitura soprattutto in un momento in cui l’incertezza geopolitica potrebbe metterne a rischio la continuità. Per porvi rimedio, le medie imprese meridionali puntano all’incremento del numero dei fornitori privilegiando quelli di prossimità (oltre il 40% delle medie imprese meridionali e non) assumendo che la minore distanza riduca i rischi di interruzione e che vi possa essere maggiore collaborazione fra gli operatori.

Green e digitale? Pesano i limiti economici

Sono tante le medie imprese del Mezzogiorno che scelgono con convinzione la strada della Duplice Transizione per diventare più competitive: il 38% investirà in digitale e green entro il 2025, in continuità con quanto fatto nel triennio precedente 2020-2022 e il 25% ha in previsione di farlo tra il 2023 e il 2025. Ma c’è un altro 27% più reticente che non ha investito nel passato nella Twin Transition e non intende farlo per il futuro.

A fare da barriere agli investimenti nella digitalizzazione sono soprattutto le risorse economiche interne, i finanziamenti insufficienti e il costo del denaro che rappresentano un ostacolo per il 53% di queste realtà imprenditoriali. Ma a frenare, anche se in misura minore, sono pure il peso della burocrazia (24%) e le questioni di carattere culturale (23 per cento) che costituiscono invece la principale barriera alla Transizione Green (38%), prima ancora di quella di natura economica.

«Le medie imprese sono un universo composto ancora da poche aziende nel Mezzogiorno, ma stanno dimostrando di potere fare la differenza per sostenere lo sviluppo del Sud e recuperare il ritardo accumulato con il resto del Paese, anche grazie ad una loro elevata propensione ad investire nella Duplice Transizione e sui temi Esg», ha sottolineando commentando i dati il presidente di Unioncamere Andrea Prete. «Per questo vanno incoraggiate, anche attraverso una più equa fiscalità, affinché possano proliferare numericamente e contribuire a creare nel Meridione un tessuto produttivo più solido», ha concluso.

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