Nella Bat è emergenza caporalato: turni di 10 ore al giorno per 25 euro

Turni estenuanti sotto il sole, nessun contratto formale e mancato rispetto delle norme sulle sicurezza. Sono ancora molte le questioni irrisolte legate al sistema agricolo nella provincia di Barletta-Andria-Trani. Si tratta di problemi che ormai si protraggono da tempo, ma che adesso rischiano di compromettere irrimediabilmente il settore, che rappresenta uno dei motori trainanti dell’economia del territorio.

Un territorio agricolo

Basti pensare che nella Bat ci sono oltre 3mila aziende che operano nella filiera agroalimentare. Non sono solo grandi aziende, ma soprattutto piccole attività che, per far fronte alle difficoltà, cercano di ridurre i costi operativi, spesso a discapito delle condizioni lavorative, alimentando la piaga del caporalato. «Non riguarda esclusivamente i lavoratori stranieri che arrivano nel nostro territorio per le grandi raccolte – dice Gaetano Riglietti, segretario generale della Flai Cgil Bat – ma anche quelli locali, sottopagati e con diritti negati».

Condizioni inaccettabili

Questi lavoratori sono reclutati in modo irregolare, con paghe che si aggirano intorno ai 25 euro al giorno per turni di lavoro che superano le 10 ore. Le loro condizioni di vita sono altrettanto precarie: molti vivono in alloggi fatiscenti e subiscono ulteriori decurtazioni del salario per il trasporto ai campi e per il cibo. Secondo il report sullo Sfruttamento del lavoro agricolo, nella Bat il caporalato non è solo un problema di giustizia sociale, ma anche una questione economica di vasta portata. Si stima che riguardi oltre il 15% dell’intera economia agricola della provincia. Questo, inevitabilmente alimenta il sommerso, penalizzando le aziende che rispettano le normative e danneggiando l’immagine dell’intero settore.

Il dossier evidenzia come il caporalato nella Bat sia particolarmente concentrato in alcune aree specifiche, con una maggiore incidenza nelle zone di Andria, Trinitapoli e San Ferdinando. Questi territori, caratterizzati da una forte vocazione agricola, devono spesso fare i conti con il fenomeno dell’intermediazione illegale della manodopera che non accenna a diminuire, nonostante l’aumento dei controlli nel territorio. In molti casi, la paura di ritorsioni impedisce ai lavoratori sfruttati di denunciare le loro condizioni. «Le costanti attività di repressione da parte degli organi ispettivi sono assolutamente necessarie – spiega Riglietti – ma non basta, occorre far funzionare la Rete del lavoro agricolo di qualità, le cui attività sono ferme da oltre un anno. Servono fatti e non parole».

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