«Perché non sono rimasto in Italia? Amavo troppo l’Albania. Oggi ho 71 anni, mi sono sposato e ho due figlie. Quando vedo i migranti che dall’Africa partono a bordo di piccoli mezzi improvvisati penso che il rischio per loro sia troppo alto. Non si può affrontare il mare in quelle condizioni. Nello stesso tempo, però, alzare muri è sbagliato». Halim Milaqi era il comandante della nave Vlora che, il 7 agosto del 1991, salpò dall’Albania con a bordo venti mila connazionali determinati a sbarcare in Europa. Arrivarono a Bari il giorno dopo. Milaqi e la sua nave erano appena tornati da un viaggio lungo cinque mesi che aveva toccato le coste Francia, Olanda e Cuba. A bordo c’erano ancora tre mila tonnellate di zucchero che non verranno mai scaricate nel porto di Durazzo.
Comandante, cosa le è rimasto più impresso di quel giorno?
«Si riversarono tutti al porto con un’unica richiesta: fuggire dal crollo economico e politico del Paese e arrivare in un porto europeo. La nave aveva il motore principale in riparazione. Fummo costretti a partire lo stesso».
C’erano persone armate a bordo?
«Sì, poi hanno buttato le armi durante il tragitto. Ho visto pistole e kalashnikov».
Ha avuto paura?
«Onestamente no. L’unica cosa che mi ha davvero spaventato è che guidavamo la nave con pochissima visuale. Non vedevo l’orizzonte. C’erano persone anche nella timoneria e l’antenna radar era bloccata. Da Durazzo a Bari, inoltre, transitano molte imbarcazioni che vanno da Nord a Sud e viceversa. Il rischio di un incidente era molto alto».
L’immigrazione è un tema molto dibattuto oggi in Europa. Vede delle similitudini tra la fuga degli albanesi negli anni ’90 e quella degli africani attraverso il Mediterraneo?
«Sono situazioni diverse. Di certo non potrebbe verificarsi un caso come quello della Vlora. Non hanno a disposizione navi commerciali di quelle dimensioni. Per fuggire usano barche molto piccole nonostante le distanze siano maggiori. Quando guardo le immagini in tv penso che non dovrebbero partire perché il rischio è troppo alto».
C’è chi spinge affinché si costruiscano muri nell’Est Europa per impedire l’immigrazione clandestina.
«Non penso che sarebbe una soluzione. Le persone che vogliono davvero andare via dal proprio paese troverebbero un altro modo. Gli ingressi illegali potrebbero essere anche incentivati così».
Com’è la vita oggi in Albania?
«Migliore rispetto a trent’anni fa. Ci sono molte più opportunità».
I giovani sognano ancora l’Europa?
«Sì, molti partono ancora ma tanti rimangono. Secondo me è meglio restare qui per contribuire allo sviluppo dell’Albania. I ragazzi vedono la tv e immaginano che in Italia, in Francia o Germania ci sia il paradiso ma non è così. Oggi se non hai un buon lavoro, una posizione stabile, anche in Europa la vita è difficile».
Perché trent’anni fa non è rimasto in Italia?
«Mi proposero l’asilo politico. Rifiutai. Ero troppo legato alla mia terra».
Rifarebbe quella scelta?
«Sì. Oggi ho 71 anni e lavoro ancora nel porto di Durazzo con la mia agenzia marittima per navi mercantili. Mi sono sposato e ho due figlie. Tantissimi di quelli che erano su nave Vlora sono tornati e rimasti in Albania».
Cosa le viene in mente quando pensa all’Italia?
«Alla straordinarietà del popolo italiano. Io ho viaggiato in tutto il mondo per il mio lavoro e ho conosciuto gente di tutte le nazionalità ma non dimenticherò mai la capacità di accogliere degli italiani».
IN MOSTRA LE FOTO DI LUCA TURI
“Professione Reporter”. Si intitola così la mostra fotografica realizzata dal fotoreporter barese Luca Turi che verrà inaugurata venerdì prossimo alle 9.30 all’auditorium “Antonio De Curtis” dell’istituto professionale “Santarella-De Lilla”, a Bari. Un evento aperto soprattutto agli studenti e che riaccenderà un faro anche sullo sbarco a Bari degli oltre ventimila esuli albanesi fuggiti a bordo della nave Vlora nel 1991.
La mostra ripercorrerà gli oltre sessant’anni di attività immortalate dall’obbiettivo di Turi al servizio come cronista delle più importanti agenzie di stampa e testate giornalistiche italiane e straniere.