Meloni e gli altri 3.500 conti nel mirino del bancario spione: 7mila accessi in 26 mesi

Meticoloso, puntuale, per 26 mesi avrebbe spiato i conti correnti di 3.500 persone, un paio di volte a persona, se si contano i quasi settemila accessi scoperti e tutti abusivi. Vincenzo Coviello, funzionario 52enne di Bitonto, per anni in servizio in una filiale della Banca Intesa San Paolo di un altro comune, è al centro di una inchiesta della Procura di Bari. E, dopo essere stato licenziato l’8 agosto scorso, ora rischia davvero grosso.

Gli obiettivi

Nel mirino del dipendente infedele ci sono militari, vip e soprattutto politici: le sorelle Giorgia e Arianna Meloni, i ministri del Turismo e della Difesa, Daniela Santanché e Guido Crosetto, il presidente di Palazzo Madama, Ignazio Larussa, il vicepresidente esecutivo in pectore della Commissione europea Raffaele Fitto, il procuratore della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, i governatori di Puglia e Veneto, Michele Emiliano e Luca Zaia, il procuratore di Trani, Renato Nitti, ufficiali dell’Arma e della guardia di finanza. E molti, molti altri, seguendo un ordine che al momento non è del tutto chiaro.

Le indagini

Al lavoro i carabinieri del comando provinciale di Bari, incaricati dal procuratore capo Roberto Rossi di analizzare la documentazione, che comprende anche la denuncia di un correntista, avvisato dallo stesso gruppo bancario di anomali accessi sulla sua posizione.
Si procede per accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. Seguire il bandolo della matassa, vista l’elevata mole di documentazione e il livello tecnologico non è semplice. La scoperta di quanto accaduto è relativamente recente.

Nella mattinata di ieri, ufficiali di polizia giudiziaria incaricati dalla Procura di Bari, hanno perquisito l’abitazione dell’ex dipendente della banca sequestrando smartphone, tablet, pc e altri dispostivi informatici.

Le ipotesi

Gli inquirenti si interrogano, partendo dall’esame degli atti, su cosa abbia indotto il funzionario a commettere il reato. Se, in sostanza, sia stata la curiosità malsana di entrare nella vita di persone note e con ruoli di potere.

Ipotesi che però si scontra con la gravità del reato commesso e con la relativa sanzione: l’articolo 615 ter prevede, in caso di condanna, la reclusione fino a tre anni. Fino a 10 anni “se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema”.

In alternativa, si valuta se il movente sia stato un altro, se cioè quei dati siano stati ceduti ad altri, per fini economici o per sfruttarli diversamente. L’ultima e residuale ipotesi è che altri abbiano utilizzato il suo codice di accesso.

La security della banca

L’indagine è partita quasi per caso, grazie al lavoro della sicurezza della banca, che si è accorta che qualcosa non andava. «Il comportamento del dipendente non in linea con le procedure interne e la normativa di settore è emerso nel corso delle ordinarie attività di controllo – fa sapere Intesa Sanpaolo – incluso un articolato sistema volto a individuare eventuali comportamenti anomali o a rischio relativi alle consultazioni effettuate dai dipendenti della Banca autorizzati al trattamento dei dati della clientela». Oltre ad avere adottato «tempestivamente nei confronti del dipendente le opportune iniziative disciplinari», la banca fa sapere di avere provveduto «ad informare le autorità competenti». E sottolinea, infine, che «l’evento è stato individuato dagli attuali sistemi di controllo» e che la banca è «costantemente impegnata a evolvere i sistemi nell’ottica di garantire la massima protezione dei dati della clientela».

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