Sogna di fare l’infermiera professionale ma il suo sogno forse non si realizzerà mai. È la storia di una studentessa di infermieristica bloccata dall’Asl di Lecce perché non ha fatto la quarta dose del vaccino anti-Covid.
Sembra che la studentessa non sia l’unica ad essere stata fermata dal medico dell’azienda sanitaria locale nonostante abbia fatto le tre dosi con relativa certificazione della carica anticorpale Sars Covid che attesta la presenza di anticorpi neutralizzanti contro il famigerato virus.
La ragazza, animata da immensa passione, rischia così di non poter terminare il percorso di studi a cui ha dedicato tanto tempo, impegno, sacrificio e dedizione. Una vicenda che riaccende le polemiche sugli obblighi vaccinali che sono state a lungo al centro del dibattito pubblico ai tempi bui della pandemia. Un Paese che, su questo tema, resta sempre spaccato in due.
«Questa storia dimostra che non si è sopita l’esigenza di una parte del mondo burocratico/sanitario, tutta da dimostrare, della necessità di sottoporre ancora alcune particolari categorie ad un’ulteriore dose di vaccino anti-Covid nonostante la fine accertata della pandemia da parte delle autorità sanitarie non solo nazionali», afferma l’avvocato Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei diritti che segue la vicenda della giovane studentessa.
D’Agata ritiene utile rilanciare questo caso emblematico e chiede con voce pubblica se sia ancora realmente indispensabile ottemperare, anche per gli “esposti”, a un’ulteriore dose vaccinale di un virus che ormai è sopito e non può più fare paura ad un sistema internazionale sanitario che dovrebbe aver tratto esperienza dall’ultima pandemia.
«Al contempo stiamo verificando attraverso i nostri esperti se quanto eccepito da Asl sia legittimo e corrispondente alle norme, anche regolamentari, attualmente vigenti. Nelle scorse ore, peraltro, siamo stati contattati da altri interessati e siamo stati informati che c’è stato qualcuno che, trovandosi nelle condizioni della collega, è stato costretto a rinunciare al proprio percorso a causa della conferma del giudizio di inidoneità da parte dello Spesal dell’Asl», spiega il presidente dello Sportello dei diritti.
«Ovviamente resta il dubbio che la procedura seguita anche ove dovesse essere conforme alla normativa, alla luce del tempo trascorso dalla fine della pandemia, sia ancora giustificabile dal punto di vista del principio superiore della tutela della salute e di quello del diritto individuale alle cure», conclude l’avvocato D’Agata. Una vicenda il cui clamore mediatico potrebbe allargarsi oltre i confini salentini e i cui sviluppi potrebbero fare giurisprudenza a livello nazionale.