Una task force per garantire sicurezza ai senzatetto, un tavolo monotematico per comprendere i problemi, le difficoltà che incontrano le associazioni nell’aiutare i clochard. Lecce prova a reagire affinché non ci sia più un altro Tariq Jala, il senzatetto 36enne trovato cadavere l’altra mattina su una panchina del Foro Boario di Lecce, dopo aver trascorso la notte al gelo. Qualcuno aveva provato ad aiutarlo donandogli un sacco a pelo, ma lui lo rifiutò chiedendo che fosse consegnato a chi ne aveva bisogno. Ci si chiede se la morte di Jala si sarebbe potuta evitare e quale sia il motivo che spinge molti senzatetto a non recarsi nei luoghi di accoglienza presenti sul territorio. L’associazione Italia Salento Rinasce chiede al Comune di avere un quadro chiaro della situazione, partendo dai numeri dei clochard presenti in città.
«La nostra proposta è che tutti gli enti aprano le loro strutture ai più bisognosi e rivolgiamo il nostro appello al Vescovo, alla congregazione dei Testimoni di Geova di Lecce, agli Evangelisti e ai Mussulmani». Dai banchi dell’opposizione arriva la richiesta di un consiglio monotematico urgente poiché «dagli atti compiuti in questi anni non risulta esserci grande attenzione da parte dell’amministrazione comunale nei riguardi dei temi immigrazione e povertà e quindi dell’accoglienza, della sicurezza, dell’integrazione, dell’erogazione di servizi. C’è il bisogno di confrontarsi con le associazioni, con i consigli di quartieri, con la consulta competente, per discutere del rapporto dell’amministrazione comunale con gli immigrati nella città e con coloro che sono afflitti da una condizione di povertà».
Tariq Jala era malato, accanto al corpo sono state trovate tracce ematiche, probabilmente un’emorragia ha causato la morte dell’uomo che da tempo soffriva di una patologia generata dall’abuso di bevande alcoliche, come riferito dalle autorità incaricate della ricostruzione dell’accaduto. Lo conferma anche il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, che ha scelto di intervenire dopo aver fatto le dovute verifiche. «Se si fosse trovato in una calda camera da letto, tra l’affetto di familiari e amici e l’assistenza di medici specialisti, forse non sarebbe andata così. Ma la realtà è questa: Tariq dormiva per strada, al freddo, non prendeva quasi mai il bus per Masseria Ghermi, ultimamente trascorreva le giornate gironzolando per la città». Salvemini punta il dito contro chi nei giorni scorsi fotografava l’uomo mentre faceva i bisogni nelle aiuole invocando la presenza dell’esercito e oggi lo piange criticando le istituzioni per averlo abbandonato. «Io penso che la povertà estrema sia un fenomeno con il quale dovremmo provare a confrontarci con più lucidità, come ha opportunamente suggerito monsignor Michele Seccia. Nella nostra città è attiva una rete tra Istituzioni, Curia, associazioni e volontari che consente alle persone in difficoltà estrema di beneficiare di servizi che vanno dal pernottamento al pranzo, alla fornitura di spesa alimentare, al ricovero temporaneo, di accedere ai servizi di assistenza medica, di verificare l’accesso ai benefici assistenziali offerti da Stato e Regione».
Ma i cittadini criticano la scelta di Masseria Ghermi come dormitorio per i senzatetto, poiché vicino a Torre Chianca. Difficile pensare che persone così fragili possano prendere il bus dal centro città per andare a dormire in aperta campagna. In altre città i dormitori si trovano vicino alle stazioni di treni o bus. Proprio nella stazione dei pullman aveva trovato riparo Jala, probabilmente non voleva lasciare il cuore della città che gli permetteva di sopravvivere, scegliendo di dormire sulle panchine e fare i bisogni nelle aiuole. Scegliendo, forse senza volerlo, di morire da solo.