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Lavoratori sfruttati e sottopagati: l’altra faccia del turismo in Salento

Ritmi stressanti, accordi verbali e situazioni di lavoro pessime, oltre ad una paga tutt’altro che decente. Sono le condizioni nelle quali moltissime donne e uomini, giovani o meno, italiani e no, sono costretti, sempre più spesso per necessità, a lavorare nei mesi più caldi dell’anno: sono le lavoratrici e i lavoratori stagionali. E così si…

Ritmi stressanti, accordi verbali e situazioni di lavoro pessime, oltre ad una paga tutt’altro che decente. Sono le condizioni nelle quali moltissime donne e uomini, giovani o meno, italiani e no, sono costretti, sempre più spesso per necessità, a lavorare nei mesi più caldi dell’anno: sono le lavoratrici e i lavoratori stagionali.

E così si aggiunge un nuovo capitolo alle offerte di lavoro scorrette, illegali e dannose per la propria salute. Questa volta, però, ad essere colpito è il Salento, terra rinomata per il suo sole, il mare e il vento. I giornalisti Massimiliano Andreeta e Sara Giudice (per TPI) nelle scorse settimane hanno raggiunto Gallipoli simulando di essere degli stagionali, raccontando di come vivono i lavoratori tra nero, contributi non pagati e condizioni di vita disumane.

«Gli italiani – hanno riportato nell’inchiesta i due giornalisti – dormono in seminterrati trasformati abusivamente in appartamenti, gli extracomunitari direttamente nei magazzini dei ristoranti: senza bagno e senza finestre. Lavorano 7 giorni su 7, circa 12 ore al giorno per 3,50 euro all’ora. In Salento, tra le località più esclusive dell’estate italiana, si nasconde una realtà cruda. Mentre molti ristoratori si lamentano della mancanza di personale incolpando il reddito di cittadinanza, i dipendenti sono costretti ad accettare condizioni di lavoro da fame tra: nero, contributi non pagati e condizioni di vita disumane».

Lo sfruttamento nel mondo del lavoro è ormai noto a tutte e tutti col reddito di cittadinanza tirato in ballo nella discussione per confondere le acque e nascondere il vero problema: se gli stipendi fossero più alti – soprattutto oggi con lavoratrici e lavoratori logorati tra post pandemia, conflitto Russia-Ucraina e inflazione – nessuno chiederebbe assunzioni in nero che non garantiscono tutele e, soprattutto, non consentono di far maturare contributi.

«Non era di sicuro necessaria un’inchiesta per dimostrare ciò che ogni anno siamo costretti e vivere», rivela una ragazza che lavora in uno stabilimento balneare del Sud Salento. «Nel nostro campo lo sfruttamento è ormai terra di confronto da anni, ma nessuno ha mai trovato soluzioni in grado di avere un effetto freno. Il reddito di cittadinanza, che deve essere certamente migliorato, è una misura necessaria e dignitosa, come l’introduzione del salario minimo» conclude.

È naturale chiedersi come ci si possa lamentare della mancanza di stagionali quando le paghe sono basse e irregolari. Soprattutto, viene da chiedersi come l’ira di imprenditori e titolari di stabilimenti balneari, bar e ristoranti, possa scatenarsi su ragazze e ragazzi e sul reddito di cittadinanza.

«Vivo queste condizioni – ha aggiunto un altro lavoratore stagionale – da decenni e chiunque lo abbia fatto almeno una volta nella vita sa benissimo quanto viene spremuto come un limone per tre, quattro, cinque mesi. Stipendi da fame, il resto in nero. Promessi vitto ed alloggio, poi rimaneva l’alloggio in condizioni da campo profughi. Non è certo dall’estate 2022 che esistono queste situazioni. Il vero problema è che improbabili imprenditori dovrebbero iniziare a pagare come si deve perché non credo che accetterebbero paghe del genere per i loro figli».

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