La testimonianza di chi c’era: «Contro quel rave una battaglia ideologica»

Conosciamo ormai tutti i fatti accaduti nelle scorse ore a Modena. Migliaia di giovanissimi, provenienti da tutta Europa, si sono dati appuntamento in un capannone abbandonato, sabato scorso. Questo per prendere parte al “WitchTek”, un rave-festival che si tiene tutti gli anni in Italia.

Quella dei rave è una sub-cultura, al pari ad esempio dell’hip hop, nata ormai 40 anni fa. Negli anni ‘80 per molti vi era una necessità: poter ballare a ritmo di musica elettronica, gratuitamente.

Location dei primi rave party sono state le fabbriche dismesse delle grandi metropoli statunitensi. Questo, oltre che per essere poco visibili, anche per dare uno schiaffo morale al sistema consumistico.

Valeria (nome di fantasia), 24enne brindisina, studia da qualche anno a Bologna ed era presente al tanto chiacchierato rave. Ha deciso di condividere la sua esperienza.

Raggiungere il luogo è stato semplice stando a quanto racconta. Domenica scorsa è andata a Modena in treno, poi ha chiamato un taxi che l’ha lasciata a qualche centinaio di metri dalla festa. Gli agenti della Polizia di Stato però, in massiccia presenza nei pressi del rave, hanno identificato lei e altri 3 giovani in sua compagnia. Lo hanno fatto senza chiederle un documento di riconoscimento, appuntando i dati anagrafici che la giovane aveva fornito.

All’interno del capannone, racconta, vi era un “metaverso”, un luogo reale ma al tempo stesso astratto, fatto di musica, luci, bancarelle, creste colorate ed abbigliamento trasgressivo. «Nessuno era strafatto per terra, nessuno litigava, nessuno sembrava nutrire sentimenti diversi dalla felicità e dalla voglia di divertirsi – racconta-. È la grande bellezza dei rave».

All’interno delle feste, stando alla sua ricostruzione, c’era un clima di fratellanza, solidarietà e rispetto. Nessuno, ad esempio, ha provato ad infastidirla e/o molestarla, ne ad offrirle droga o cocktail di dubita provenienza. «Come in tutti gli altri rave a cui ha partecipato – sottolinea – vi era una “chilling zone”, un banchetto che informava dei rischi dell’uso di sostanze. «Gli oppiacei però sono vietati in questi festival – sottolinea -. Una vera e propria regola dei ravers».

La sua presenza alla festa era legata ad un fattore ideologico, racconta. Per lei la musica deve essere fruibile in modo totalmente gratuito e gli spazi abbandonati utilizzati per scopi culturali. Facile capire come le due cose vadano poi a convergere nella cultura dei ravers. «Lo sgombero – afferma – non c’è praticamente stato, ma i ragazzi presenti hanno deciso di abbandonare il capannone perché pericolante, come consigliato dalla Polizia».

Riguardo il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri, Valeria si dichiara totalmente convinta che sia «solo una battaglia ideologica. Perché non hanno fatto nulla contro il corteo di Predappio?». Dalle sue parole non traspare pentimento per aver preso parte al party illegale, anzi, giura che fin quando potrà prenderà parte a questo genere di eventi. Decreti permettendo.

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