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La strage di Capaci trent’anni dopo. La Puglia ricorda i suoi figli

Il 23 maggio del 1992 è da sempre ricordato come il giorno della strage di Capaci dove perse la vita Giovanni Falcone. In quella strage mafiosa, però, la Puglia perse tre suoi figli, Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo e Vito Schifani che erano i componenti della scorta del magistrato siciliano e di sua moglie…
Da sinistra: Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani (foto Ansa)

Il 23 maggio del 1992 è da sempre ricordato come il giorno della strage di Capaci dove perse la vita Giovanni Falcone. In quella strage mafiosa, però, la Puglia perse tre suoi figli, Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo e Vito Schifani che erano i componenti della scorta del magistrato siciliano e di sua moglie Francesca Morvillo, anche lei era una magistrata.

La “Quarto Savona Quindici” era l’auto apripista della scorta del giudice Falcone, dove i suoi componenti condividevano paure, sogni, ma soprattutto speranze. Ed insieme a loro, a condividere coraggio e ideali di cambiamento c’erano anche le loro famiglie: mogli, figli, sorelle, genitori. Tutti uniti in una missione che significava difendere a denti stretti il valore della legalità.

Rocco Dicillo era originario di Triggiano. Fu lui, insieme ad altri colleghi, a sventare un attentato dinamitardo organizzato alla villa dell’Addaura del magistrato Giovanni Falcone.

Antonio Montinaro, era nato a Calimera, in provincia di Lecce. Era il caposcorta del giudice Falcone, il suo uomo più fedele. Colui che, pur consapevole dei grossi rischi personali, non lo lasciava mai da solo.

Infine, Vito Schifani nato ad Ostuni, in provincia di Brindisi. Aveva 27 anni quando perse la vita nell’attentato. Da poco era diventato papà e stava maturando l’idea di lasciare il servizio scorte per dedicare più tempo alla famiglia.

Di questi tre uomini la Puglia non ha dimenticato le storie. E le loro famiglie che continuano ad animare il senso civico di questa terra, sono una risorsa.

Loro, quelli uniti dal senso del sacrificio e consapevoli che i pericoli da affrontare erano necessari per garantire la sicurezza a quel giudice che rischiava a sua volta la vita per aver scelto di contrastare la mafia.

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