La storia fa capolino a Troia, Di Gioia: «Quella finestra dell’episcopio è opera di Raffaello» – L’INTERVISTA

Esistono storie e vicende che s’intrecciano con un respiro nazionale, dove il piccolo diventa grande e viceversa, in un rincorrersi di fatti, figuri e figure che narrano di un’Italia senza frontiere e regionalismi di sorta, anche in epoche di signorie e campanilismi che farebbero un baffo ad Alberto da Giussano. Succede a Troia, piccolo comune dei Monti Dauni, in provincia di Foggia, dove però la storia ha disegnato vicende di respiro nazionale. È stato così per Ettore de Pazzis, detto Miale, che il 12 febbraio 1503 difese “l’onore e la gloria della vilipesa Italia” contro “la tracotante superbia francese”, in quella che sarebbe passata alla storia come la Disfida di Barletta. E si appresta a replicarsi per una vicenda d’arte, come attesterebbe una recente scoperta da parte di Francesca Di Gioia, ricercatrice e storica dell’arte.

Professoressa, la città di Troia è uno scrigno di tesori che continua a riservare sorprese come la vicenda legata a Raffaello Sanzio?

«È Giorgio Vasari nella Vita di Bastiano da Sangallo” detto Aristotile, a legare le figure di Giannozzo Pandolfini, vescovo di Troia, e Raffaello Sanzio, scrive il critico aretino: “Giovan Francesco [da Sangallo] dunque, avendo tirato a Roma Aristotile […] et andarsi trattenendo per mezzo di Messer Giannozzo Pandolfini vescovo di Troia, in casa di Raffaello da Urbino”. Citazione questa della frequentazione abituale da parte di Pandolfini della casa del Sanzio, che sancisce un’amicizia che diventa “superlativa” nella Vita di Raffaello da Urbino, qui scrive a riguardo “Vescovo di Troia, amicissimo di Rafaello”. Assai poco oltraggioso poter oggi far riferimento a un possibile progetto dettato dalla linea di un “Raffaello architetto” a Troia dove l’egemonia episcopale dei Pandolfini passa da Giannozzo al nipote Ferrante».

Questa è la premessa di qualcosa di ancora più significativo che, direi, riguarda la centralità di Troia in alcuni contesti artistici?

«Aggiunge ancora Vasari che Raffaello “Diede disegni d’architettura alla vigna del papa, et in Borgo a più case […] Ne disegnò ancora uno al Vescovo di Troia, il quale lo fece fare in Fiorenza nella via di San Gallo […]. Onde, avendo poi Raffaello fatto al detto vescovo il disegno per un palazzo che volea fare in via di S. Gallo in Fiorenza, fu il detto Giovan Francesco mandato a metterlo in opera”. Tra le architetture progettate a firma del Sanzio, una fu quindi posta in opera da Giovan Francesco da Sangallo e terminata da suo fratello Aristotile, ed è quel Palazzo Pandolfini a Firenze che in questa sede, leggiamo a confronto nei tratti stilistici, con le opere di Giannozzo a Troia. È presumibile infatti che nel momento nel quale egli si assicura la cattedra vescovile, si fece carico di esportare le forme quadrangole e maestose delle architetture romane, persino nella sua dimora ecclesiale: l’Episcopio di Troia…»

…interessante similitudine?

«Tante sono le similitudini che legano infatti, i due edifici toccati da una storia che corre parallela: vengono edificati dallo stesso committente nei medesimi anni. Nel 1516 partono i lavori a Firenze, lavori probabilmente già avviati all’indomani della nomina e c’è testimonianza rintracciabile attraverso le fonti scritte conservate nell’archivio del capitolo, di interessi convergenti verso l’antica Aece. Nell’archivio del Capitolo della Cattedrale si conservano infatti alcune pergamene nelle quali Leone X che concede l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli che si recano in visita al Duomo o alla chiesa di san Salvatore in Troia, mostrando forte attenzione alle entrate dell’episcopio daunio tra il 1514 e il 1517. Le casse in quegli anni sono state di certo rimpinguate mettendo a disposizione del vescovo, costanti introiti a cui si aggiunge persino un legato per riscuotere le decime anche della chiesa di santo Stefano in Foggia, nonché la nota relativa ad alcune indulgenze del Santissimo Sacramento che Giannozzo ottenne il 15 febbraio del 1519, “concesse alla cappella del Sacramento di S. Lorenzo in Damaso di Roma, da papa Leone X per la confraternita di Troia” . Il pensiero dunque è che questi pronunciamenti ad personam servano a consolidare la posizione economica di Pandolfini, e ciò corre di pari passo alle edificazione dei due palazzi di famiglia che si dovrebbero compiere nella stessa tornata di anni».

Tutto questo intreccio di nomi e circostanze cosa significa?

«L’intuizione ora, che si possa trattare di progetti gemelli è auspicabile, anche se a conferma di ciò possiamo avanzare solo alcune analogie di natura formale: a partire dalla squadratura del “mastio” che si presenta con un impianto solenne e dettato dal rispetto di misure armoniche, per proseguire con la scelta tipologica adottata che prevedeva (per il progetto daunio come l’altro fiorentino) la soluzione di un palazzo a due soli piani, piano terra e piano nobile, invece dei canonici tre. A questa si aggiunge anche la singolare bicromia utilizzata alternando materiali diversi, giocando a Firenze con i dettagli architettonici che emergono nell’uso della pietra bigia sulla facciata color ocra, mentre nel palazzo vescovile di Troia lo stesso effetto si ottiene con l’uso di una pietra locale, sia come soglietta per le finestre che per le architravi. Una elegante metodologia costruttiva denota dunque un gusto raffinato che si concretizza in partiture geometriche modulari e che si esplica attraverso una sequenza precisa dettata dai canoni classici, vitruviani, come risulta evidente proprio nei piani d’imposta delle finestre e nella loro cadenzata successione lungo i tre lati che conchiudono la corte dell’edificio. Sia a Firenze che a Troia questo equilibrio compositivo trova qualche motivo di “capriccio” nel primo caso sul prospetto di via Salvestriana, strada sulla quale si aprono finestre, alcune più alte crociate sfalzate di misura rispetto ad altre quadrangole a sfilare verso le mura dell’orto; anche a Troia due di queste si oppongono simmetricamente ai lati, di una apertura centrale che reca sull’architrave l’iscrizione a lettere romane capitali: Pandvlphini Eps, ed è l’iscrizione che si pone come pietra angolare a sugello di questo legame citato dal Vasari e che mostra a Troia lo stesso intento già perseguito da Giannozzo in via di San Gallo, come mostrano appunto i rilievi fotografici».

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