In Puglia tre stranieri su dieci sono baresi d’adozione

La provincia pugliese in cui vive il numero maggiore di stranieri è quella di Bari, dove si concentra il 31,4% del totale regionale, seguita da quella di Foggia che registra la più alta incidenza sul totale della popolazione residente. Seguono, in ordine decrescente, le province di Lecce (26.834), Taranto (15.065), Brindisi (11.277) e Barletta-Andria-Trani (10.465).

Sono perlopiù gruppi familiari e hanno una età mediamente giovane: solo il 4,3% ha più di 64 anni. Sono solo alcuni dei dati che emergono dal Rapporto immigrazione 2022 presentato ieri dalla Cgil. L’88,6% degli occupati stranieri è un lavoratore dipendente. Il 69,2% è inserito nel settore dei servizi (tra cui il 26,5% nei servizi domestici e il 19,7% nel commercio), il 21,3% in agricoltura e il 9,6% nell’industria (tra cui il 6,2% nelle costruzioni).

Rispetto alla tipologia professionale, il 47,9% degli occupati stranieri svolge un lavoro manuale non qualificato, il 36,4% è impiegato come addetto alle vendite o nei servizi alle persone, il 12,5% svolge un lavoro manuale specializzato e solo il 3,1% una professione intellettuale o tecnica oppure è inquadrato come dirigente.

Inoltre il 23,5% risulta sovraistruito e nel 6,3% dei casi sottoccupato, mente gli italiani sono leggermente più sovraistruiti degli stranieri (26,5%) ma meno sottoccupati (4,7%).

«Abbiamo visitati i due più grandi ghetti rurali della Puglia, dove vivono in condizioni non sostenibili migliaia di persone – ha ricordato Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia -. Li abbiamo trovati quasi deserti perché chi lì vive non era in giro a delinquere, come vorrebbe certa narrazione razzista. Erano al lavoro, nelle campagne, a produrre ricchezza per le nostre aziende, spesso senza contratto perché senza permesso di soggiorno, che sono impossibilitati a ottenere perché fa comodo a datori di lavoro senza scrupoli tenerli a nero».

Sullo stesso tema è tornato nel suo intervento conclusivo la segretaria nazionale Tania Scacchetti. «Sicuramente servono norme diverse che regolamentano i flussi – sottolinea – c’è un fallimento delle politiche migratorie nel nostro Paese, che non si è dotato di una politica strutturale del fenomeno immigrazione. Ma attenzione, non è stata mica una fatalità, è stata una scelta precisa: dietro ci sono interessi economici e politici rilevantissimi. Altrimenti non si spiega come mai nessuno, negli ultimi venti anni, con governi di diversa collocazione, ha provato a cambiare quelle norme. Sul tema immigrazione si gioca parte del consenso elettorale, si tratta di argomenti spinosi, specie se si prosegue a gestire il fenomeno come questione di ordine pubblico».

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