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Imprese femminili, l’Italia da record nell’Unione europea

L’Italia? Per il lavoro non è un Paese per donne, i tassi dell’occupazione femminile sono i più bassi d’Europa, gli stipendi pure. Ma ha il numero più elevato di lavoratrici indipendenti. Lo afferma la Cgia di Mestre che nel 2023 segnala come le donne italiane in possesso di partita Iva che lavorano come artigiane, commercianti,…

L’Italia? Per il lavoro non è un Paese per donne, i tassi dell’occupazione femminile sono i più bassi d’Europa, gli stipendi pure. Ma ha il numero più elevato di lavoratrici indipendenti.

Lo afferma la Cgia di Mestre che nel 2023 segnala come le donne italiane in possesso di partita Iva che lavorano come artigiane, commercianti, esercenti o libere professioniste ammontano a 1.610.000, a fronte di 1.433.100 presenti in Francia e 1.294.100 occupate come autonome in Germania. Il motivo? Perché su di loro pesa la famiglia, perché dopo l’interruzione dal mondo del lavoro per accudire uno, due figli, diventa difficile tornarci e allora si fa diventare una passione magari nascosta nel cassetto in un lavoro e voilà ecco la partita Iva.

Si tratta quindi di piccole e medie imprese, non grandi colossi, ma le italiane ci riprovano. E il lavoro che non c’è se lo reinventano.

I dati

Ebbene ad oggi circa il 56% delle donne imprenditrici attive in Italia è impiegato nel settore dei servizi alla persona e nei servizi alle imprese (in qualità di titolari o socie di agenzie di viaggio, agenzie immobiliari, imprese di pulizie, noleggio di veicoli, agenzie pubblicitarie, fotografe).

Inoltre, poco meno del 20% opera nel commercio, mentre poco oltre il 10% è attivo nell’Horeca e circa un ulteriore 6% nell’industria, medesima percentuale si riscontra anche nell’agricoltura.

La famiglia e i pochi servizi

Per la Cgia il basso tasso di occupazione femminile in Italia è principalmente attribuibile all’elevato carico di lavoro domestico che grava sulle spalle delle donne. Purtroppo, il Paese ha storicamente investito in misura limitata nello sviluppo dei servizi sociali e della prima infanzia, penalizzando le donne in modo duplice.

In assenza di adeguati investimenti in questi ambiti non sono stati creati nuovi posti di lavoro che avrebbero potuto essere occupati prevalentemente da donne. Numerosi studi a livello internazionale dimostrano come l’imprenditoria in ‘rosa’ possa rappresentare una chiave per incrementare l’occupazione femminile; infatti le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi maschi.

Le imprese rosa? Sono a sud

In Italia sono le province del Mezzogiorno a registrare l’incidenza percentuale più elevata di imprese a conduzione femminile sul totale delle attività presenti in ciascuna delle 105 realtà territoriali monitorate dalla Cgia. A guidare la graduatoria nazionale è Cagliari con il 40,5% delle attività guidate da donne sul totale provinciale (in valore assoluto sono 13.340).

Se, invece, si riformula la classifica nazionale in base al numero assoluto di imprese femminili, in vetta scorgiamo Roma con 76.519 attività in ‘rosa’ (pari al 22,7% del totale delle imprese presenti a livello provinciale). Seguono Milano con 57.341 (17,9%), Napoli con 55.904 (21,7%), Torino con 44.051 (22,4%) e Bari con 27.975 (28,9%). and.ill.

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