Il rapporto Svimez fotografa il divario tra Nord e Sud. Pnrr, troppi i progetti al palo

Era il 13 settembre 1972 quando, dalle colonne del “Corriere della Sera”, l’economista Pasquale Saraceno prevedeva che la questione meridionale si sarebbe risolta nel 2020. Quasi quattro anni più tardi rispetto a quella “deadline”, però, non solo Nord e Sud non viaggiano di pari passo, ma tornano persino ad allontanarsi, come evidenziato dal rapporto Svimez. Nel 2023, infatti, il pil meridionale risulta in aumento dello 0,4%, mentre quello settentrionale e la media nazionale si attestano rispettivamente allo 0,8 e allo 0,7%. A causare questa dinamica sfavorevole è soprattutto la contrazione del reddito delle famiglie che al Sud è doppia rispetto a quella dei nuclei del Nord e, di conseguenza, determina un calo dei consumi.

La fotografia scattata dagli esperti di Svimez, dunque, è tutt’altro che incoraggiante. Dopo un biennio di sostanziale allineamento, il Sud torna a crescere meno rispetto al Nord. A fine 2023 il pil risulterà aumentato della metà rispetto a quello settentrionale. E, nei prossimi anni, lo sviluppo del Sud sarà più sostenuto, ma comunque non quanto quello del Nord: nel 2024 il Meridione crescerà dello 0,6% a fronte dello 0,7 del Settentrione; ancora, nel 2025, il Meridione crescerà dello 0,9% e il Settentrione dell’1,3. La riapertura del divario è imputabile al calo dei consumi delle famiglie da Roma in giù che dovrebbe attestarsi sullo 0,5% e che non dovrebbe osservarsi nel Centro-Nord, dove si prevede invece un incremento nella misura dello 0,4. A innescare questa dinamica sfavorevole è il reddito disponibile delle famiglie che al Sud si riduce addirittura di due punti percentuali, praticamente il doppio rispetto al Centro-Nord.

Gli investimenti, invece, continuano a crescere, ma comunque meno velocemente rispetto al 2022: il Mezzogiorno passa dal +9,8 al +5% e il Centro-Nord dal +9,1 al +3,3%. A frenare sono soprattutto gli investimenti in costruzioni, a causa dell’indebolimento dell’effetto del Superbonus e dello slittamento temporale degli interventi inseriti nel Pnrr. Nel Mezzogiorno si va dal +13,1 al +5,1%, per il Centro-Nord si parla di un calo addirittura dall’11 all’1,7%.

La crescita nel 2024-2025, ovviamente, è vincolata all’attuazione degli interventi contemplati dal Pnrr. Secondo la Svimez, se le risorse disponibili venissero interamente e tempestivamente utilizzate, l’impatto cumulato sul pil nazionale sarebbe di 2,2 punti percentuali, 2 netti al Centro-Nord e 2,5 nel Mezzogiorno. A ogni modo, il Pnrr eviterà la recessione al Sud e la stagnazione al Nord nei prossimi due anni: -0,6% e -0,7% il pil del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 senza Pnrr, –0,2% e crescita piatta nel Centro-Nord.

«Il contributo del Piano alla crescita del prossimo biennio, comunque, dipenderà dalla sua pronta ed efficace attuazione», spiegano dalla Svimez che ha monitorato lo stato di attuazione degli interventi di cui i Comuni risultano soggetti attuatori. Il valore complessivo delle iniziative ammonta a 32 miliardi, per il 45% allocati ai Comuni del Mezzogiorno. Per circa la metà dei progetti le procedure di affidamento risultano avviate, ma la quota di progetti messi a bando si ferma al 31% al Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord. Anche la capacità di procedere all’aggiudicazione presenta significative differenze territoriali: 67% al Mezzogiorno a fronte del 91 al Centro-Nord. Gli esiti del monitoraggio, insomma, confermano le criticità già evidenziate in ordine ai limiti di capacità amministrative delle amministrazioni locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne gli organici e competenze. «A metà del guado del piano – commenta Adriano Giannola, presidente di Svimez – non c’è da essere soddisfatti e manca una strategia con obiettivi precisi». Come se ne esce, dunque? Innanzitutto con la piena attuazione del Pnrr, ma sono indispensabili anche politiche industriali, lotta al divario di genere, incremento del numero dei laureati.

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