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Il funerale del grano duro. L’allarme di Cia Capitanata: «Tutelare la filiera italiana»

Il biondo non è più il colore di moda nell’agricoltura di Capitanata. Meno 25 euro a tonnellata nell’ultima riunione della commissione, meno 20 nella seduta del 25 gennaio (stessa situazione alla Borsa Merci di Bari, dove le quotazioni del grano duro hanno registrato un “meno 17 euro” alla tonnellata). Da giugno 2022, la quotazione del…

Il biondo non è più il colore di moda nell’agricoltura di Capitanata. Meno 25 euro a tonnellata nell’ultima riunione della commissione, meno 20 nella seduta del 25 gennaio (stessa situazione alla Borsa Merci di Bari, dove le quotazioni del grano duro hanno registrato un “meno 17 euro” alla tonnellata). Da giugno 2022, la quotazione del grano duro alla Borsa Merci di Foggia è crollata: allora, il biologico, si attestava a 575 euro alla tonnellata; il fino quotava 562 euro, mentre nell’ultima seduta, quella del primo febbraio il valore massimo del grano duro biologico è a quota 445 euro, quello del “fino” a 440. E ora gli agricoltori vegliano il morto: «È mancato all’affetto dei suoi cari il Grano Duro Italiano: ne danno il triste annuncio grano duro canadese, grano duro australiano, grano duro statunitense, il kazako e i parenti tutti».

Il granaio d’Italia è in crisi, non solo per l’aumento dei costi di produzione – la Facoltà di Agraria dell’Università di Bari ha calcolato in 1.370 euro il costo complessivo sostenuto da un cerealicoltore pugliese per seminare, coltivare, curare e raccogliere il grano prodotto da un ettaro di terra. Quasi 600 euro in più, secondo fonti Coldiretti, per ettaro – ma anche per il calo dei prezzi, iniziato l’estate scorsa, dopo lo sblocco delle esportazioni dalla Ucraina, visto che l’Italia importa il 62 per cento del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35 per cento del grano duro per la pasta e il 46 per cento del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. Tanto che, Nicola Cantatore, direttore di Cia Capitanata, facendosi portavoce anche delle altre organizzazioni di settore, chiede che «la catena del valore riconosciuto ai produttori sia sostenuta con l’inserimento della semola prodotta con grano duro esclusivamente italiano nel Listino della Borsa Merci di Foggia. Una richiesta motivata dalla necessità di sostenere il valore qualitativo di tale prodotto e dell’intera filiera». Questo mette in evidenza il ruolo strategico di Foggia come granaio d’Italia. Negli ultimi anni, complessivamente la Puglia ha prodotto mediamente 9,5 milioni di quintali di grano duro, vale a dire il 30 per cento della produzione nazionale. Per questo – sostiene la Cia Capitanata – bisogna «valorizzare l’intera filiera 100 per cento italiana del grano duro, garantendo un equo riconoscimento a produttori e trasformatori e assicurando la qualità e salubrità di grano, semola e pasta italiana ai consumatori». Anche perché i cerealicoltori italiani devono attenersi a un preciso disciplinare «che garantisce la migliore qualità e la massima salubrità del grano duro italiano», cosa che non avviene per i produttori esteri attivi sul mercato internazionale.

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