Troppo caldo, ventilazione insufficiente e strutture che nella maggior parte dei casi non sono adeguate per fronteggiare i disagi che il personale della scuola e gli studenti stanno affrontando in questi primi giorni di ripresa delle attività dopo la pausa estiva. «Trentacinque gradi in classe e nessuna risoluzione: meritiamo di più». Sono le parole scelte per uno striscione di protesta apparso all’esterno del liceo scientifico Scacchi di Bari dove, ieri mattina, i ragazzi hanno deciso di ricorrere allo strumento dell’assenza di massa. Sono quasi due terzi gli studenti, sui circa 1400 totali, che hanno scelto di non entrare nelle aule dove non ci sono nemmeno dei ventilatori (al contrario di altri istituti, come hanno riferito più testimoni).
Un segnale di disagio che negli ultimi giorni è arrivato da più di un istituto barese: la preoccupazione per l’emergenza caldo è scoppiata quando lo scorso 21 settembre la dirigente scolastica del Marconi-Margherita Hack, Anna Grazia De Marzo, ha deciso di anticipare per due giorni l’uscita dei ragazzi dalle 14 alle 12.30, dopo che alcuni di loro avevano accusato malori e svenimenti. Da li sono cominciate le proteste a catena degli studenti: giovedì si sono rifiutati di entrare in classe gli studenti del liceo scientifico Enrico Fermi e lunedì, dopo lo Scacchi, sarà il turno del linguistico Marco Polo.
Intanto, il problema delle alte temperature incompatibili con le attività didattiche verrà sottoposto da diversi parlamentari all’attenzione del ministro Valditara con delle interrogazioni ad hoc. E sulla necessità di rivedere il calendario scolastico anche alla luce dei cambiamenti climatici è intervenuta la Sima (la società italiana di medicina ambientale). «I mancamenti degli studenti registrati a Bari impongono certamente una riflessione – aveva spiegato Alessandro Miani, Presidente Sima – Il fenomeno delle ondate di calore sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, con possibilità del protrarsi di temperature fino a 36 gradi centigradi come accaduto in Puglia nei primi dieci giorni del nuovo anno scolastico, non può essere trascurato o peggio ignorato». La proposta, in un momento in cui è al centro della discussione l’autonomia delle Regioni, sarebbe di ampliare i margini decisionali degli uffici scolastici regionali per un avvio dell’anno differenziato anche di due o tre settimane tra il Nord e il Sud del Paese.
«Bisogna fare i conti con la realtà dei fatti e a oggi il buon senso suggerirebbe di lasciare chiuse le scuole al sud-Italia fino all’equinozio di autunno, che cade tra il 21 e il 23 settembre, allo scopo di tutelare al meglio il benessere psico-fisico degli alunni».