«Lo stato in cui versa la giustizia penale è allarmante. Eppure la tutela dei diritti, il funzionamento degli uffici, le condizioni delle carceri e la necessità di riforme hanno trovato pochissimo spazio nella campagna elettorale»: ne è convinto Guido Stampanoni Bassi, avvocato del foro di Milano oltre che fondatore e direttore della rivista Giurisprudenza penale.
Che cosa emerge dalle proposte dei partiti in tema di giustizia?
«Alcuni partiti hanno tendenzialmente confermato le posizioni assunte su certe questioni già prima della campagna elettorale. In concreto, centrodestra, Terzo Polo e +Europa sono, pur con alcune ovvie differenze, tendenzialmente allineati su posizioni più garantiste. Il Movimento Cinque Stelle resta su posizioni “giustizialiste”, mentre il Partito democratico ha posizioni più caute e meno nette di quelle sulle quali si attestano i suoi alleati di Sinistra italiana. L’aspetto più interessante, comunque, è la trasversalità di certi temi e di certe posizioni. Azione, per esempio, sostiene la necessità che le misure cautelari siano applicate non più dal solo gip ma da un collegio di tre giudici e a questa proposta aderisce anche Fratelli d’Italia. Discorso analogo per altre proposte, come il divieto di appello da parte del pm contro le assoluzioni che ha visto d’accordo partiti diversi tra loro come Lega e Sinistra italiana».
Eppure non si è parlato molto di giustizia in questa campagna elettorale…
«Affatto. Anzi, possiamo dire che la giustizia penale sia la grande assente di questa campagna elettorale. Si è preferito discutere del sesso dei protagonisti del cartone animato Peppa Pig fino a quando il senatore Matteo Richetti non è finito nell’occhio del ciclone per un presunto caso di molestie. Di giustizia e di diritti, invece, si dovrebbe parlare di più e con maggiore cognizione di causa, anche e soprattutto alla luce delle condizioni in cui versano i tribunali».
Tribunali che sono ormai malati terminali, vero?
«La giustizia penale non se la passa bene. Le recenti riforme sono state frutto di una mediazione politica che non si è rivelata soddisfacente. Ora non resta da capire come i partiti si comporteranno con la riforma Cartabia, indispensabile sebbene non in grado di risolvere da sola tutti i mali della giustizia di casa nostra».
Quali sono le emergenze da affrontare con priorità?
«È indispensabile ridurre la durata dei processi, allineare la detenzione in carcere ai dettami della Costituzione bloccando la drammatica spirale di suicidi in cella e rafforzare gli organici dei magistrati e del personale amministrativo».
E la riforma Cartabia non basta?
«Non possiamo considerarla una panacea. Oltre al reclutamento di un maggior numero di magistrati e di dipendenti amministrativi, nell’ottica della riduzione dei tempi dei processi e del rafforzamento delle garanzie degli imputati trovo utili l’introduzione dell’inappellabilità delle sentenze di assoluzione e un’ampia depenalizzazione. Troppi uffici giudiziari sono ingolfati da vicende che non meriterebbero di sfociare nel penale: pensiamo ai reati edilizi che impegnano i Tribunali per anni e che raramente sfociano in sanzioni penali che abbiano una qualche rilevanza. Altrettanto interessante è l’incentivazione dei riti alternativi che per funzionare (cioè per alleggerire il carico dei tribunali) andrebbero resi più “appetibili”».
Circolano diversi nomi per l’incarico di ministro della Giustizia: lei quale profilo vorrebbe?
«Marta Cartabia è una figura di spessore che ha lavorato in un contesto politicamente difficile e, nonostante ciò, è riuscita a far approvare una riforma che è una buona base di lavoro. Mi auguro che la scelta ricada su un ministro garantista come Cartabia. Nella speranza, però, che stavolta sia messo in condizione di lavorare a fondo per la tutela dei diritti e per una giustizia giusta».