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Fratino (Poliba): «Il 40% del territorio pugliese è a rischio desertificazione»

La desertificazione e il degrado dei suoli sono un fenomeno in crescita, la Puglia non fa eccezione. Dal punto di vista ambientale è ogni giorno più vulnerabile. Umberto Fratino, professore ordinario di costruzioni marittime e idrologia al Politecnico di Bari, recentemente eletto Presidente dell’Ordine degli ingegneri di Bari, spiega come un simile fenomeno impatta sulla…

La desertificazione e il degrado dei suoli sono un fenomeno in crescita, la Puglia non fa eccezione.

Dal punto di vista ambientale è ogni giorno più vulnerabile. Umberto Fratino, professore ordinario di costruzioni marittime e idrologia al Politecnico di Bari, recentemente eletto Presidente dell’Ordine degli ingegneri di Bari, spiega come un simile fenomeno impatta sulla nostra regione e come provare a difendersi.

Professore, in cosa consiste la desertificazione?

«Riguarda la mutazione dello stato di qualità dei suoli e, nello specifico, ne indica l’impoverimento. Una simile situazione può essere generata da una penuria d’acqua o di elementi organici o addirittura dall’eccessivo sfruttamento del terreno. Il termine ci riporta all’immagine del deserto ma riguarda una estremizzazione del fenomeno».

Quali sono le cause che possono portare a una situazione simile?

«La variazione anche temporanea delle condizioni climatiche o ancora peggio il sopraggiungere di condizioni estreme possono essere delle cause naturali, poi c’è la mano dell’uomo».

Cosa intende dire?

«L’impoverimento del terreno può avvenire anche a causa di un sovra sfruttamento del suolo».

In che modo la Puglia è “affetta” da questo male?

«La nostra regione ha una storica propensione ad essere interessata da questo processo. Negli anni ‘90 l’impoverimento del terreno era già un dato certo. Tuttavia non siamo i soli. In particolare tutto il Mediterraneo ha sofferto più degli altri territori in questo periodo, sia per clima che per le eccessive presenze abitative soprattutto sulle zone costiere. La Puglia nasce come una terra con una capacità agricola tale da poter supportare elementi naturali che lavorano in asciutto, pensiamo all’ulivo e al mandorlo. Virare verso le produzioni che necessitano un impegno importante del suolo, come quelle ortive o del pomodoro, non è stato strategico. Questa metodologia ha creato delle situazioni che vediamo con preoccupazione anche perché parliamo di studi consolidati di rischi di desertificazione, ovviamente con gravità differenti, per quasi il 40 % del territorio pugliese».

Dobbiamo aspettarci un cambio di paesaggio?

«Proprio perché bisognava garantire a tutti un reddito, negli anni, sono state avviate colture diffuse che hanno provocato delle variazioni di paesaggio proprio nel tentativo di renderle costantemente proficue. Pensiamo all’arrivo dell’irrigazione in Puglia negli anni ‘70».

Cosa si può fare per cercare di invertire questo processo?

«Da tempo sono stati avviati gruppi di osservazione per cercare soluzioni che possano contenere il fenomeno. Purtroppo deve essere chiaro che le situazioni precedenti non sono più recuperabili. Adesso l’unica soluzione sarebbe virare verso modelli differenti di sviluppo. Non è semplice farlo perché oggi la produzione è impostata su vasta scala».

In che modo la politica può intervenire?

«Sarebbe utile portare avanti politiche che, anche con prospettive di finanziamento, agevolino modelli di produzione basati sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Grosse distese di terreno sono state oggetto, nel passato, di grandi investitori che continuano a produrre secondo schemi di venti anni fa che adesso non vanno più bene. Non ha molto senso che in Capitanata si continui a dedicare ettari alla coltura del pomodoro: una pianta idro esigente che non ha più la redditività di qualche anno fa. Piuttosto puntiamo alla qualità dell’olio e del vino».

Ci sono delle resistenze al cambiamento?

«I mercati non sono pronti ma non lo è neanche il settore dell’agricoltura che da sempre è considerato fortemente conservativo. Un ulteriore rischio oltre a quello paesaggistico potrebbe essere l’abbandono delle campagne perché non più produttive. A quel punto, senza la cura dell’uomo, diventerebbero pericolose dal punto di vasta dei rischi naturali».

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