Famiglie in difficoltà: le tredicesime crescono ma cala il potere d’acquisto

Non sarà un Natale di solitudine, come per molti è stato quello del 2020 a causa delle restrizioni anti-Covid, ma saranno comunque feste complicate per molte famiglie. Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Istat, quest’anno gran parte delle tredicesime non saranno destinate ai regali ma a coprire le spese ordinarie. In particolare, verranno usate per pagare le bollette di luce e gas. Secondo uno studio dell’Unione Nazionale Consumatori, le vendite alimentari di ottobre, in volume, sono inferiori dell’8,5 per cento rispetto a ottobre 2020.

Un dato significativo che lascia presagire un Natale complicato per molti italiani. Non solo: l’inflazione non ha solo la capacità di raffreddare la propensione al consumo ma anche un effetto diretto sul valore delle tredicesime. Quella che storicamente e culturalmente per molti rappresenta un “tesoretto” di fine anno, dunque, rischia di trasformarsi in poco più di una mancia incapace di rispondere alle aspettative. In termini reali, infatti, i consumi medi da tredicesime per le famiglie non sono mai stati così bassi negli ultimi quindici anni.

Lo afferma Confcommercio in seguito a una dettagliata analisi sul comportamento dei cittadini. L’associazione dei commercianti ha stimano una spesa media di 1.532 euro per famiglia derivanti dalla mensilità aggiuntiva. A conferma dell’impatto importante dell’inflazione, c’è il fatto che il volume delle tredicesime, in realtà, sia in crescita rispetto al 2021. I lavoratori percepiscono di più, dunque, ma la loro capacità di acquisto si è contratta. Negli scorsi giorni il direttore del Centro Studi di Confcommercio, Mariano Bella, ha comunque provato a mostrare un pizzico di ottimismo rispetto alla spesa generale che le famiglie destineranno ai regali, spingendo verso l’alto, o il basso, il mondo del commercio. «Tutto dipenderà dalla fiducia delle famiglie, aumentata a novembre, e dai nuovi sostegni del governo – sottolinea Bella-. Se la fiducia dovesse confermarsi “potremmo avere un’ennesima bella sorpresa”, afferma il direttore del Centro Studi, Mariano Bella, secondo cui “nonostante i numeri e la disponibilità sia ridotta ci sono aspettative favorevoli».

La tassazione della tredicesima, da non confondere con i fringe benefit

Il governo Meloni non è riuscito a intervenire con una detassazione diretta delle tredicesime, andando a compensare in busta paga il crollo della capacità d’acquisto dei lavoratori. Sarebbe stato un provvedimento in linea con l’idea di riduzione del cuneo fiscale ma che avrebbe avuto un costo considerevole per le casse dello Stato, difficilmente sostenibile senza uno scostamento di bilancio, in occasione del decreto Aiuti quater, o nel delicato equilibrio della legge di bilancio in discussione in Parlamento. L’unico modo in cui l’esecutivo è riuscito ad intervenire, poche settimane dopo il proprio insediamento, è stata la detassazione dei fringe benefit fino a un valore di tre mila euro (prima era di seicento euro).

Questi ultimi, impropriamente definiti “tredicesime aggiuntive”, sono le eventuali retribuzioni in più che il datore di lavoro può dare al dipendente, ad esempio, in funzione della produttività.

Un piccolo aiuto, dunque, solo per una ridotta fetta di lavoratori ai quali le aziende decidono di garantire un premio. La tredicesima “vera”, quella che rappresenta un diritto per i contratti nazionali, viene tassata al pari di tutte le altre mensilità, in base alle aliquote Irpef e contributive di riferimento.

Con l’aggiunta quest’anno, però, della “tassa occulta” dell’inflazione, che depotenzia la capacità finale di spesa del lavoratore.

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