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Ex Ilva, via allo sciopero: «L’azienda ritiri il taglio degli ordini»

Prime 24 ore di sciopero oggi, divise su tre turni, per il Gruppo Acciaierie d’Italia che vede nel siderurgico di Taranto il polo produttivo più importante. Sabato, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è tornato a parlare dell’ex Ilva dopo l’incontro con le parti sociali di inizio settimana. Un appuntamento…

Prime 24 ore di sciopero oggi, divise su tre turni, per il Gruppo Acciaierie d’Italia che vede nel siderurgico di Taranto il polo produttivo più importante. Sabato, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è tornato a parlare dell’ex Ilva dopo l’incontro con le parti sociali di inizio settimana. Un appuntamento disertato dai vertici dell’azienda e che non ha soddisfatto Cgil, Cisl e Uil, a seguito del quale hanno annunciato lo sciopero. «Vogliamo arrestare il declino della siderurgia italiana – ha sottolineato sabato il ministro – e lo vogliamo fare da subito. Invertendo la tendenza. I patti prevedevano almeno sei milioni di tonnellate di produzione l’anno, siamo ad appena tre». Un obiettivo difficilmente realizzabile senza che lo Stato prenda in mano la governance di Acciaierie d’Italia. L’azienda, ad oggi, è in mano ad Arcelor Mittal Italia che possiede la maggioranza delle quote (la parte minoritaria è pubblica tramite Invitalia). L’iniziativa dei sindacati di oggi prevede diversi presidi e un corteo che partirà dalla portineria del tubificio dello stabilimento per raggiungere i lavoratori dell’appalto e arrivare alle portinerie D e A. Infine, terminerà davanti alla portineria della direzione.

Le ulteriori 24 ore di sciopero già annunciate, invece, saranno programmate solo se non arriveranno risposte chiare, tanto dal governo quanto dall’azienda.

Acciaierie d’Italia «ritiri il provvedimento di taglio degli ordini e delle commesse delle imprese dell’indotto – sottolineano di sindacati -e il Governo sia garante di un riequilibrio delle relazioni sindacali all’interno del gruppo Acciaierie d’Italia oggi assenti». Intanto negli scorsi giorni Giuseppe Farina, rsa Cemitaly e componente del coordinamento Lp di Taranto dell’Usb, ha paragonato la vertenza del siderurgico a quella dei lavoratori ex Cementir che ha chiuso i battenti proprio sul territorio ionico. «I lavoratori, ormai decimati, sono in cassa integrazione da più di otto anni – afferma Farina -. I siti abbandonati, sono delle vere e proprie bombe ecologiche. Ovvio che le multinazionali non hanno interesse a bonificare le aree che ospitavano le fabbriche, e quindi non se ne occupano se questo non viene preteso dal Governo in risposta alle sacrosante richieste dei cittadini. Oggi ArcelorMittal fa gli stessi identici passi e, proprio perché il territorio conosce e riconosce questo atteggiamento, lo Stato si dovrebbe fare garante della salute e del lavoro, diventando innanzitutto socio maggioritario. Questo è un passaggio obbligato perché si possa dare un riscontro reale e immediato a chi, come è accaduto ieri a Taranto presso la torre faro dello stabilimento siderurgico, ridotto a strumento di ricatto, è ormai al limite dell’esasperazione». Un parallelo preoccupante che, ci si augura, non diventi un triste presagio.

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