«Invertire la rotta cambiando equipaggio». Questo l’obiettivo del governo per salvare l’ex Ilva. Ad affermarlo è stato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante l’informativa al Senato.
Arcelor Mittal, ha spiegato Urso, «si è dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato ma, nel contempo, reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d’Italia di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione».
Cosa che, ha aggiunto il ministro, «non è accettabile né percorribile sia nella sostanza che alla luce dei vincoli europei sugli aiuti di Stato».
Il governo, dunque, ha dato «mandato a Invitalia e al suo team di legali di esplorare ogni possibile conseguente soluzione».
Lo scudo penale
«Nel luglio 2019, governo Conte 1, ministro Di Maio, viene tolto lo scudo penale e ArcelorMittal rende nota di conseguenza la propria intenzione di sciogliersi dall’accordo. Quella decisione sulla rimozione dello scudo penale pose ArcelorMittal in una posizione di forza nei confronti del governo», ha detto ancora il ministro Urso ricostruendo, partendo dal 2016, la vicenda degli stabilimenti ex Ilva, soffermandosi sulle varie decisioni assunte dai governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2.
«Ricordo in quella circostanza – ha spiegato -numerose voci che si levarono dall’opposizione di allora, personalmente fui una di quelle. Mi alzai in questa Aula per affermare, a nome del mio partito, che la rimozione dello scudo penale, in un contesto come quello di Taranto, avrebbe giustificato il disimpegno della multinazionale indiana, che peraltro secondo molti aveva fatto quell’investimento non per rilanciare l’impianto ma per evitare che potesse rappresentare una concorrenza di mercato».
Il futuro
Il ministro Urso ha aggiunto che «noi ci crediamo e ci impegniamo a ricostruirla [l’ex Ilva, n.d.r.] competitiva sulla tecnologia green su cui sono già impegnate le acciaierie italiane prime in Europa».
Urso ha anche spiegato che «nel 2023 la produzione si attesterà a meno di tre milioni di tonnellate, come nel 2022, ben al di sotto dell’obiettivo minimo di quattro milioni».
In questi anni infatti la produzione si è ridotta, ha continuato Urso, aggiungendo che è accaduto perfino «negli anni in cui la produzione dell’acciaio era altamente profittevole in Europa come nel 2019». Urso ha concluso affermando che «la produzione è stata mantenuta bassa lasciando campo libero ad altri attori stranieri che hanno aumentato la loro quota di mercato in Italia».
Il governo, dunque, intende sviluppare «un piano siderurgico nazionale» costruito su quattro poli complementari «attraverso un progressivo rinnovamento, modernizzazione e specializzazione degli impianti esistenti»: Taranto, Terni, Piombino e le acciaierie del Nord Italia.
Urso ha citato in primis Taranto «che dovrà riaffermare il ruolo di campione industriale, con una filiera produttiva con l’intero ciclo, dal minerale al prodotto finito».