Ex Ilva, è l’ora dell’amministrazione straordinaria: nessun accordo tra Stato e socio privato

È scaduto ieri il periodo concesso da Invitalia ad Acciaierie d’Italia per riconoscere o meno lo stato d’insolvenza a fronte di una situazione debitoria che supera i 3,1 miliardi (accertati a novembre 2023).

Sembra ormai certo che sarà dichiarata fallita e quindi posta in amministrazione straordinaria anche la compagine mista pubblico-privata che da anni gestisce in affitto gli impianti della decotta Ilva spa, anch’essa finita in amministrazione straordinaria.

Lo scrive anche l’esperto nominato dal tribunale di Milano per gestire la composizione negoziata della crisi, secondo il quale «non è ipotizzabile, quanto meno nel brevissimo periodo, il raggiungimento di un accordo tra Invitalia e ArcelorMittal idoneo ad assicurare quel sostegno finanziario indispensabile a garantire la continuità aziendale».

Insomma una bocciatura per il piano di salvataggio messo a punto dall’amministratrice delegato Lucia Morselli che ieri mattina si è presentata ai cancelli della fabbrica esortando gli operai a «essere tutti da stessa parte». Per il consulente del tribunale milanese manca liquidità e non si può andare avanti, senza «una compagine sociale coesa, AdI non può accedere alle ingenti e urgenti risorse finanziarie previste dal piano, né può continuare ad essere un primario partner industriale di società italiane ed europee».

Già oggi il ministero delle Imprese potrebbe avviare la procedura di amministrazione straordinaria, favorita da due recenti decreti legge del governo (spetterà al tribunale riscontrare lo stato d’insolvenza. Invitalia ha già negato l’erogazione dei finanziamenti per febbraio e Unicredit ha chiesto il versamento della rata da 30 milioni di euro. Insomma le casse sono in agonia.

L’ad Lucia Morselli, però, spera ancora in un accordo in extremis e agli autotrasportatori che da giorni sono fermi con i tir all’ingresso della fabbrica ha detto che il dossier è «all’ultimo miglio».

«Lo stabilimento è al minimo storico anche perché ci manca il vostro lavoro non perché vogliamo chiudere», ha detto ieri l’ad ad un gruppo di lavoratori, specificando che azienda e lavoratori «sono dalla stessa parte» e che spetta ai tavoli trovare una via d’uscita ad un «problema che sta sopra le nostre teste».

In attesa dei provvedimenti di oggi, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha già annunciato il varo, entro giugno, di un piano siderurgico nazionale in cui è contemplato anche il polo di Taranto. In attesa di conoscere il destino di Acciaierie d’Italia, le aziende dell’indotto riunite sotto la sigla Aigi continuano la loro protesta che si traduce nel presidio davanti alle portinerie dello stabilimento siderurgico e nell’interruzione della fornitura di beni e servizi, pur continuando a garantire il “minuto mantenimento”, cioè la funzione in sicurezza degli impianti per tutelare i lavoratori diretti e la città di Taranto.

Nei giorni scorsi gli imprenditori hanno manifestato davanti alla fabbrica insieme agli operai chiedendo al governo una tutela dei crediti (sono circa 140 milioni di euro) maturati col siderurgico negli ultimi mesi, temendo il secondo “bidone di Stato” dopo la prima amministrazione straordinaria dell’Ilva nel 2015. In quel caso furono ben 150 i milioni di euro in credito finiti in coda nelle aule di tribunale. Un decreto dovrebbe tutelare quei crediti attraverso istituti finanziari ma resta il problema di liquidità e occupazionale delle aziende.

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