Enzo Tortora, 40 anni fa l’arresto. L’avvocato Della Valle: «Con quei giudici nemmeno la riforma lo avrebbe salvato»

«L’impronta garantista della riforma proposta da Nordio mi rende felice, sebbene questi giorni riportino alla mia mente momenti strazianti». Raffaele Della Valle, penalista con un passato da parlamentare, commenta positivamente il pacchetto di norme approvato dal Consiglio dei ministri. La sua soddisfazione, però, non cancella l’atroce ricordo del 17 giugno di 40 anni, quando Enzo Tortora, uno dei volti più noti del giornalismo e della tv italiani, fu arrestato con l’accusa di essere un narcotrafficante al soldo della camorra napoletana. Da quel momento per Tortora cominciò un’odissea nelle aule di giustizia, fatta di carcere e gogna mediatica, che si concluse solo nel 1987, quando la Cassazione confermò l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’appello di Napoli. Di quell’autentico “orrore giudiziario” Della Valle fu testimone diretto in quanto non solo difensore, ma soprattutto amico di Tortora.

Avvocato, che cosa prova pensando al 17 giugno 1983?

«Fu una giornata drammatica. Nella mente ho ancora la voce malferma e vacillante di un uomo che alle 4.40, dopo essere stato arrestato, mi chiedeva aiuto: “Raffaele, non so cosa stia succedendo, vieni, aiutami, ti prego”. Per lui si spalancò un abisso tra dichiarazioni farneticanti rilasciate dai pentiti, accuse prive di riscontro, carcere, condanna in primo grado, gogna mediatica. Quella vicenda fu straziante e umiliante anche per noi difensori: apprendevamo le notizie da una stampa distorta e non dai magistrati che, tra l’altro, nei nostri riguardi avevano un atteggiamento irridente dandoci la sensazione che la condanna fosse già scritta. Cancello i ricordi tristi solo se penso all’assoluzione pronunciata da una Corte d’appello che si dimostrò realmente seria, scrupolosa e imparziale».

Quale idea della giustizia alimentò in lei il caso Tortora?

«Il disprezzo per la procedura penale, per la valutazione della prova e per la personalità e i diritti dell’indagato/imputato mi misero in crisi. Mi sentivo umiliato e offeso nella mia dignità umana e professionale. Non sopportavo la vista dei giudici, li associavo sempre e comunque a quelli di Napoli che avevano messo Enzo sotto accusa. Recuperai la fiducia quando i tre magistrati illuminati della Corte d’appello, dopo aver ricostruito e vagliato attentamente l’intera vicenda, pronunciarono l’assoluzione. Recuperai la fiducia, ma non ebbi la possibilità di godere della ritrovata libertà di Enzo che morì poco tempo dopo».

Veniamo ai giorni nostri. Che cosa pensa della riforma della giustizia ipotizzata da Nordio?

«Conosco Nordio dai tempi della commissione per la riforma del codice penale. È un uomo di prim’ordine. Condivido la limitazione del potere di impugnazione della sentenza da parte del pm: la norma è ancora troppo restrittiva, perché va evitata la declaratoria di illegittimità costituzionale come per la legge Pecorella, ma di sicuro segna una svolta garantista. Bene anche la stretta sulle intercettazioni, che non possono essere pubblicate in modo sconsiderato né devono alimentare la gogna mediatica, e la previsione di un collegio chiamato a valutare le istanze di custodia cautelare in carcere, perché tre magistrati hanno la possibilità di approfondire il caso più di quanto un giudice monocratico riesca a fare. Ciò, tuttavia, impone di potenziare al più presto gli organici degli uffici. Nel complesso, comunque, l’ impronta garantista è innegabile e mi rende felice».

L’interrogatorio prima dell’arresto e il collegio di tre giudici, contenuti nella bozza di riforma, avrebbero salvato Tortora da carcere e gogna?

«No, con certi magistrati non sarebbe cambiato nulla anche se le norme fossero state diverse. Quelli che accusarono Enzo ignoravano la presunzione di non colpevolezza sancita dalla Costituzione, erano prevenuti e imbevuti di cultura giustizialista. Tanto è vero che, nonostante il 23 giugno la posizione di Enzo fosse completamente chiarita, la vicenda si protrasse per altri quattro anni. Non basta la buona volontà del legislatore se la mentalità resta medievale. E poi, per salvare Enzo, sarebbero stati necessari anche un’opinione pubblica non giustizialista e una stampa indipendente dalla magistratura. Così non fu».

Che cosa manca alla riforma Nordio?

«La separazione delle carriere di pm e giudici. Eliminare qualsiasi forma di contiguità tra queste due figure è indispensabile per garantire la terzietà del magistrato chiamato a emettere la sentenza. E dirò di più: è necessario anche che la polizia giudiziaria sia separata dal pm e che sia interrotto il circuito di magistratura e stampa giustizialista. Non possiamo vivere in una repubblica giudiziaria dove tutto o quasi è penale».

Che cosa direbbe Tortora davanti alla giustizia di oggi?

«Direbbe che il suo sacrificio è valso a poco. Dal Medioevo a oggi, in Italia, la giustizia non ha fatto grandi passi avanti. Sembra di stare ancora ai tempi dell’Inquisizione se si pensa, per esempio, che quasi mai la prova si forma in dibattimento e che nelle sentenze di condanna manca spesso un riferimento alle tesi della difesa».

E invece che cosa direbbe lei al suo amico Tortora se fosse ancora qui?

«Gli direi di continuare a credere nella giustizia, come d’altronde Enzo ha sempre fatto, e a combattere per far sì che la cultura garantista si espanda. Sarei ancora e sempre al suo fianco».

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