Donne e lavoro, l’analisi di Giovanna Badalassi: «I conti economici quadrano con noi»

Quando si parla di task force nazionali per la ricostruzione economica, il nome di Giovanna Badalassi non manca mai. Per fortuna. Lei, ricercatrice indipendente, è specializzata nei bilanci di genere e nelle politiche pubbliche in materia di Welfare e di Lavoro. Da diversi anni collabora con enti pubblici e Istituti di ricerca ed è autrice di oltre quaranta bilanci di genere tra Regioni, Province e Comuni.

Con la pandemia, il gender gap si è acuito. In questo Primo Maggio il segno delle “disuguaglianze” è purtroppo molto evidente. A cosa si deve lavorare per colmare i divari esistenti?

«Il livello attuale delle diseguaglianze nel nostro paese è il risultato di squilibri strutturali che ci portiamo dietro da anni. La pandemia ha poi ulteriormente aggravato il gender gap perché è stata una crisi di cura, certo sanitaria, ma anche sociale e relazionale, che ha riguardato soprattutto le donne. Quindi, al contrario di quello che fa il PNRR, che è un programma di investimenti infrastrutturali, bisognerebbe investire nella cura, retribuita e non retribuita, nel welfare, nell’istruzione. L’Italia è il paese con il più basso tasso di occupazione femminile in tutta l’Unione Europea anche per questo. Altro discorso è poi ancora il gender gap relativo alla solidità dei rapporti di lavoro, alle retribuzioni, ai percorsi di carriera ecc».

La sensazione è quella che si debba sempre rincorrere un risultato accettabile. La politica che ruolo dovrebbe avere?

«La pandemia, ma anche la crisi climatica e le crisi geopolitiche, ci mostrano come solo una politica solida, e dunque uno stato moderno, organizzato e capace possono affrontare sfide di tale portata, inclusa anche quella della parità di genere. Occorre quindi ritrovare un senso collettivo di politica diffusa, nel senso di una maggiore partecipazione alla vita pubblica. Finché avremo percentuali di astensione dal voto così elevate e un dibattito pubblico così distratto è difficile produrre quel cambiamento che può provenire solo dalla spinta dal basso delle moltitudini e non certo dalle élite. Questo vale a maggiore ragione per le donne, soprattutto se ci ricordiamo che sono più della metà dell’elettorato».

E, attualmente, ritiene sia in grado di rivestire questo ruolo che descrive?

«La politica istituzionale deve fare i conti con i limiti e le emergenze della situazione attuale, con una classe dirigente che, salvo casi virtuosi, conferma un problema storico di competenza. Lo svuotamento di contenuti e quindi di democrazia è sempre più evidente e pure per le donne della politica troppo spesso ci si concentra più sull’aspetto personalistico che nel merito delle scelte».

Anche per le donne esiste un divario Nord-Sud da abbattere in fatto di lavoro e gestione delle risorse economiche?

«Assolutamente sì. La peggiore condizione economica delle donne nel meridione d’Italia è un fenomeno oramai radicato e da tempo, un problema ma al contempo anche una soluzione. Le donne hanno una enorme potenzialità inespressa in termini di capacità, determinazione, problem solving, abituate come sono a farsi carico di tutte le inefficienze di cura dello Stato. Basta creare le condizioni e questo talento si può rivelare fondamentale per risollevare il Meridione e il nostro paese».

Lei si batte da anni per educare alla valutazione delle politiche di welfare a partire da un approccio di genere. Vuole spiegare ai nostri lettori come?

«Sono una ricercatrice indipendente specializzata in bilanci di genere che misurano l’impatto delle risorse pubbliche sulle donne e sugli uomini. Più in generale sviluppo strumenti tecnici a supporto di politiche per la parità, sia pubbliche che aziendali. Non basta desiderare la parità di genere ma occorre costruirla giorno per giorno con la concretezza di progetti e strumenti capaci di influenzare decisioni e l’utilizzo delle risorse. Assieme alla mia collega Federica Gentile ho inoltre fondato www.ladynomics.it dove parliamo proprio di economia e politica di genere».

È vero che le donne sono brave amministratrici pubbliche?

«Sì. Oramai esiste una ricca letteratura che lo conferma. In parte questa capacità è dovuta alla maggiore determinazione di chi, come le donne, fatica di più per affermarsi. In parte è evidente una maggiore sensibilità verso il benessere delle persone, certamente dovuta alla comune educazione familiare ai valori della cura.

In Canada uno studio ha trovato una relazione diretta tra l’incremento delle amministratrici locali in 10 province, dal 4,2% al 25,9% tra il 1976 e il 2009, e la diminuzione del tasso di mortalità del 37,5%. È infatti aumentato l’impegno politico nelle aree salvavita: la cura medica, la prevenzione, i servizi sociali e l’istruzione superiore. Questo progresso ha interessato soprattutto gli uomini che, si sa, hanno tassi di mortalità peggiori di quelli delle donne».

Buoni propositi per il Primo Maggio 2024?

«Come buoni propositi posso farli solo a livello personale, attraverso un rinnovato impegno e determinazione nel mio lavoro e nel far crescere Ladynomics.

Come augurio, spero che si ritrovi presto il senso di un impegno collettivo, soprattutto delle donne, capace di spingere il nostro paese verso un futuro più giusto che offra a tutte e a tutti le opportunità per una vita soddisfacente».

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