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«Dare voce a tutti i territori e fare compagnia a chi è solo: due sfide per la nostra Rai»

«La televisione italiana? È di gran lunga la migliore in Europa»: non ha dubbi Angelo Mellone, esperto di comunicazione pubblica e politica, da quasi un anno alla guida della direzione Intrattenimento e Day Time della Rai. È il giornalista e scrittore tarantino, in altre parole, il capo della struttura che definisce la programmazione televisiva giornaliera…

«La televisione italiana? È di gran lunga la migliore in Europa»: non ha dubbi Angelo Mellone, esperto di comunicazione pubblica e politica, da quasi un anno alla guida della direzione Intrattenimento e Day Time della Rai. È il giornalista e scrittore tarantino, in altre parole, il capo della struttura che definisce la programmazione televisiva giornaliera del mattino e del pomeriggio con una serie di obiettivi: fare compagnia a chi è solo, dare voce ai territori e combattere il pensiero unico.

Direttore, la Rai ha compiuto 70 anni: com’è cambiata dal 3 gennaio 1954, data in cui le trasmissioni presero ufficialmente il via, ai giorni nostri?
«La Rai ha svolto un ruolo determinante nella costruzione dell’identità e nella custodia della memoria nazionale. Nel caso specifico dei meridionali, poi, programmi come “Non è mai troppo tardi” (quello in cui il maestro Alberto Manzi teneva lezioni che consentirono a circa un milione e mezzo di persone di conseguire la licenza elementare, ndr) hanno contribuito a farli sentire pienamente italiani. In questo caso, all’opera di costruzione dell’identità nazionale si è aggiunta una funzione pedagogica. Oggi la triade informare-educare-intrattenere è pienamente realizzata. E, con una popolazione che invecchia e una famiglia tradizionale che progressivamente si destruttura, il compito principale della televisione di Stato è quello di fare compagnia alle solitudini».

Mamma Rai, quindi, tiene compagnia ai suoi figli. Però, come spesso accade nelle famiglie, la mamma è spesso contestata dai figli: come si giustifica questa sorta di rabbia?
«Il contrasto fa parte della vita di tutti. Ma la televisione italiana – e non parlo soltanto di quella pubblica – è la migliore in Europa. Nel mondo, oserei dire. Lo dimostrano la qualità dei programmi, il modo in cui vengono strutturati i telegiornali, il livello dell’infotainment».

Non crede, però, che le ingerenze della politica abbiano fatto perdere credibilità alla Rai, trasformandola in un mero terreno da lottizzare?
«La lottizzazione è un concetto elaborato negli anni Settanta per garantire il pluralismo democratico. Solo in un secondo momento ha acquisito un’accezione negativa. Il tema è quello della garanzia del pluralismo, nel senso che la Rai deve dare voce e interpretare tutte le anime e sensibilità del Paese. Questo è il miglior antidoto al pensiero unico. Se si adotta un simile approccio e si lavora con accuratezza ed etica professionale, il rapporto con la politica scivola necessariamente in secondo piano e si riesce a garantire un “pluralismo da record”, come avviene oggi».

Ma qualcosa dovrà pur essere cambiato anche per quanto riguarda la programmazione, non crede?
«Cambiare? In tv è difficile che si inventi qualcosa di completamente nuovo. Certo, ci sono eccezioni come “Portobello” che è stato l’incubatore di una serie di altri programmi come “Carramba! Che sorpresa” e “Chi l’ha visto?”. Nel 2000 i reality furono una grande novità come oggi è la transmedialità, cioè la possibilità di fruire di un contenuto o di un servizio attraverso molteplici piattaforme di distribuzione. Attualmente ci troviamo in epoca post-moderna, un tempo in cui l’attività di rielaborazione è costante, e chi fa tv deve conoscerne la storia, analizzarla e studiarla anche per “copiare bene” certi programmi del passato. Il successo che “Uno mattina” o “Linea verde” riscuotono da decenni dimostra che c’è bisogno di contenitori dei quali si può cambiare l’estetica, certo, ma che devono continuare a offrire contenuti in modo leggero».

Quindi programmi come “Linea verde” sono quelli che lei apprezza di più?
«Il mio cuore è per programmi che parlano del territorio come “Linea verde”. Sono trasmissioni che interpretano il bisogno di radicamento che c’è in ognuno di noi e la voglia di raccontare l’Italia a cominciare dalle realtà più piccole. Eppure noto un paradosso: certi programmi riscuotono enorme attenzione da parte del pubblico, ma non da parte dei media. E non mi riferisco al solo mondo dell’informazione. Di sicuro programmi come “Linea verde”, che a volte superano i tre milioni di spettatori, meriterebbero maggior attenzione e considerazione».

A proposito di territori, la Puglia può vantare illustri rappresentanti in Rai come lei ma anche Antonio Preziosi, direttore del Tg2, e Marcello Ciannamea, responsabile della Direzione Distribuzione: quanto ha dato la sua regione alla televisione di Stato?
«A prescindere dalle persone e dai ruoli, la Puglia ha dato come campo di racconto nel senso che ha offerto materiale in termini di luoghi, storie, tradizioni, Ma se oggi è considerata la regione più bella al mondo, il merito è anche dei mezzi di comunicazione di massa e del modo in cui l’hanno presentata al grande pubblico. E lo dice un tarantino spesso e volentieri accusato di essere “apulocentrico”».

Ecco, che cosa rappresenta per lei, pugliese doc, questo ruolo apicale in Rai?
«Sono in Rai ormai dal 2010, ma non immaginavo che avrei lavorato per la televisione di Stato. Mi ritengo molto fortunato perché faccio cose che mi piacciono e sono alla guida della produzione che realizza di più in assoluto. E questa è per me una grande responsabilità. Il Day Time è il grande racconto italiano, quello che dà corpo e materia alle realtà di regioni e città ma anche di province, borghi e periferie. Perché dare voce ai territori e dimostrare che certi luoghi sono tutt’altro che periferici è una battaglia nazionale che anche i mezzi di informazione devono combattere».

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