Dalle Comunità energetiche la ricetta contro lo spopolamento dei piccoli comuni

La notizia è di qualche giorno fa: il decreto varato dal governo sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (Cer) ha lasciato il tavolo del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) per approdare su quello della Commissione Europea in vista dell’approvazione. Una grande novità, attesa da tempo soprattutto dalle piccole realtà locali che sperano ora in un celere cammino e dei successivi decreti attuativi per mettere mano al progetto di contrasto dello spopolamento dei piccoli borghi. Insomma, si spera nell’energia per accendere le speranze delle realtà minori, spesso marginali, del Bel Paese. In Italia sono 38 i piccoli comuni italiani 100% rinnovabili che rispondono ai criteri dettati da Legambiente e Kyoto Club, mentre sono 100 i borghi che hanno sottoscritto il manifesto di democrazia energetica.

La transizione energetica, dunque, come salvezza per contrastare lo spopolamento dei piccoli borghi. Realtà sempre più in affanno che rischiano di perdere anche il treno veloce del Pnrr, anche perché dalle loro parti la velocità non è una caratteristica territoriale, visto che mancano strumenti e tecnici per stare al passo con le esigenze di progettazione volute dall’Europa. Così Cer e BeCome (il progetto che nasce proprio per informare, formare e assistere i piccoli comuni nel percorso di efficientamento energetico) possono diventare gli acronimi per compiere un salto in avanti non solo nella sostenibilità ambientale, ma anche per favore pratiche di coesione territoriale e di tutela della identità di una comunità locale.

Dare energia alla lotta contro lo spopolamento. Questa in sintesi le ragioni di un provvedimento governativo che si scrive “transizione energetica” ma si legge “tutela demografica”, soprattutto delle realtà sotto i 5mila abitanti, quelle tanto care al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.

«Il dramma spopolamento che sta colpendo la Basilicata è probabilmente l’emergenza più grave che sta vivendo la regione», lo afferma l’eurodeputata Chiara Gemma dopo aver esaminato gli ultimi dati sui lucani che abbandonano la regione. «Pur se è un fenomeno dei nostri tempi, che interessa molte realtà italiane non si può nascondere che quanto sta accadendo in Basilicata è veramente allarmante. Specialmente quando si vanno a leggere gli ultimi dati ufficiali e emerge che stanno andando via non solo i giovani ma anche i pensionati (nel 2022 oltre 35mila lucani over 60 si sono trasferiti fuori regione, ndr)» evidenzia ancora l’eurodeputata.

«È necessario – ha specificato l’europarlamentare – accelerare gli interventi in corso ed essere più determinati, ottimizzando l’utilizzo dei fondi europei e tenendo sotto osservazione le ricadute attuali e future dell’azienda Stellantis di Melfi e le estrazioni petrolifere, le due leve che più di tutte generano Pil a livello regionale. Fin d’ora occorre pensare alla Basilicata dei prossimi 20 anni e tenere presente che ogni lucano che va via vuol dire un reddito mensile in meno, meno consumi, meno economia e meno crescita sociale e culturale», conclude Gemma. La Puglia, invece, negli ultimi 10 anni ha perso 130mila residenti e a soffrirne di più sono le piccole realtà urbane, visto che ci si sposta verso le città metropolitane o nei grandi centri. Tant’è che i 30 comuni dei Monti Dauni, su una superficie di 227.473 ettari, il 31,6% della provincia di Foggia e l’11,7% di quella regionale, ha attualmente una popolazione sotgli 80mila abitanti. «Il problema è serissimo. Bisogna cominciare a invertire una tendenza che dura, ininterrottamente, dagli anni ’60. Non servono palliativi, ma programmi europei e nazionali capaci di incidere realmente. In questo senso, purtroppo, il Pnrr sembra un’altra grande occasione mancata», afferma il sindaco di Carlantino, Graziano Coscia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Exit mobile version