Storie di disagi, di licenziamenti, di lavoro nero, è questo lo scenario che viene fuori nelle pratiche dei lavoratori che si rivolgono ai sindacati.
La storia di Anna
«Guadagnavo 500 euro al mese, facevo la commessa. Poi mi hanno licenziata perché dopo 7 anni di lavoro mi sono permessa di chiedere un full time, visto che era quello che prevedeva la mia busta paga», a parlare è Anna Loiudice, 45 anni quartiere Libertà, a Bari, una delle persone che si sono rivolte al sindacato per far valere le proprie ragioni. Lei, come le altre centinaia di pratiche che sono raccolte in un faldone negli scaffali degli uffici, ha fatto causa al suo titolare, chiedendo ciò per cui ha lavorato, un risarcimento. «In realtà – dice – mi sono pentita di aver inoltrato la pratica, appena il datore di lavoro ha capito che non avrei più sopportato quella situazione (dieci ore in un negozio) mi ha messo alla porta. Ora? Vivo di piccoli lavoretti, a nero. Non ho alternative alla mia età. Mio marito lavora in una fabbrica, abbiamo un figlio di 12 anni, tante sono le esigenze, se ci mette che paghiamo un affitto di 300 euro e i costi della vita…». La storia di Anna è simile a tante altre, ci si scoraggia a far valere i propri diritti. Poi c’è chi si è come arreso e cerca aiuto.
I sussidi
«Aspetto di lavorare ho aderito alla misura della Regione Puglia, quella del reddito inclusivo, al quale possono fare richiesta famiglie con un Isse inferiore a 9.300 euro. Ho 55 anni, non lavoro più. L’ente regionale mi ha chiesto la disponibilità per lavori socialmente utili, aspetto di essere chiamato, chissà, forse cambia qualcosa. – dice Antonio Caterino di Altamura, ex operaio di una fabbrica dismessa – Per vivere al momento faccio il muratore, a nero, senza nessuna assicurazione. Ma in un modo devo portare avanti la mia famiglia. Ho una casa popolare, non pago la pigione, ma ho tre figli minorenni e una moglie casalinga, mi dite come devono mangiare se non lavoro a nero?».
Le donne
Poi, oltre a un lavoro sottopagato, c’è quello delle donne, che è comunque uno scalino più in basso rispetto a quello degli uomini, anche adesso nel 2024. «Molto spesso nelle nostre sedi si rivolgono donne mamme a cui vengono proposte condizioni di lavoro al limite della legalità: ricordo sempre una nostra iscritta nel settore della vigilanza, peraltro mamma “sola” con un figlio con problemi di salute a cui venivano fatti dei turni improponibili per la cura del figlio, siamo riusciti con determinazione a riportare quella situazione alla normalità», dice Barbara Neglia, segretaria regionale della Filcam Cgil Puglia.
La rinuncia
Ancora oggi nei confronti delle donne si continua ad avere atteggiamenti discriminanti «soprattutto quando queste sono mogli, mamme. Non a caso sono aumentati i casi di dimissioni e credo che nel 2024 sia inammissibile che ci sia una tale disparità tra uomo e donna».