Condizionamento del voto: i clan ci provano anche stavolta

La mafia ci riprova. Perché dove c’è business, lì ci sono le mani sporche di chi prova a condizionarli. E anche ieri, alle elezioni amministrative per il rinnovo delle cariche istituzionali nei Comuni del barese, sarebbero state esercitate pressioni per pilotare il voto in favore di candidati amici.

Le antenne delle forze dell’ordine, messe in allarme dallo stesso meccanismo verificatori nelle precedenti del 2021 e del 2019, avrebbero riscontrato elementi importanti per ipotizzare il nuovo tentativo da parte di clan operanti in città.

Parte da Bari infatti, secondo una prima ricostruzione, la crociata della criminalità, da tempo attiva anche nei comuni della provincia grazie a proficue alleanze. Al pari delle precedenti tornate elettorali, nelle scorse settimane la rete di sentinelle messe in campo dai clan avrebbe agganciato elettori e promesso loro denaro (o utilità) in cambio del voto per favorire alcuni nomi che, evidentemente, se eletti sarebbero pronti poi a sdebitarsi con l’affidamento di appalti in favore degli “amici”.

Il sistema, così concepito e ormai consolidato, sarebbe possibile grazie al ruolo di persone interne ai seggi, che avrebbero avuto anche il compito di verificare se chi ha ricevuto i “regali” dei clan nei giorni scorsi ha poi effettivamente votato il candidato giusto.

Non si può escludere, dunque, che una parte dei componenti i seggi, che nelle ore precedenti hanno dato forfait, abbiano avuto paura o scelto di non farsi condizionare. Fa infatti riflettere che a Bari siano stati 117 su 345 i presidenti di seggio nominati che hanno rinunciato, ben il 34 per cento. Ottanta di questi avevano già rinunciato al momento della convocazione dalla Corte d’Appello, mentre gli altri non si sono presentati al seggio e sono stati sostituiti all’ultimo momento. In provincia, a Bitonto, Comune dove si vota anche per le amministrative, hanno rinunciato 22 presidenti su 51, il 43 per cento.

Il 9 dicembre scorso, con l’esecuzione di 13 perquisizioni, era stata svelata un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Alessio Coccioli e dai pm Claudio Pinto e Savina Toscani, nella quale si ricostruiva un analogo meccanismo messo in moto sin dal 2019 e poi perfezionato. E, con il passare degli anni, anche le tariffe sono cresciute: se nel 2019 la “retribuzione” per voto si fermava a 25 euro, due anni dopo era stata perfettamente raddoppiata, arrivando a 50.

Per lo scandalo del 2019, era finito sotto processo il consigliere del Municipio 1 di Bari, eletto con la lista “Sud al Centro” alle amministrative del 26 maggio 2019, Carlo De Giosa, imputato per presunti episodi di corruzione elettorale. Con la complicità della figlia Donata, De Giosa avrebbe comprato il voto di 44 elettori baresi, pagando 25 euro per ogni preferenza in suo favore.

Nella seconda indagine, contestualmente alle perquisizioni, numerose persone erano state iscritte nel registro degli indagati, anche grazie al ritrovamento la sera del 6 ottobre in un cassonetto di indifferenziata, in un piazzale isolato a San Giorgio, di materiale cartaceo ritenuto “utile”: frammenti di fotocopie di documenti d’identità e codici fiscali di cittadini triggianesi, manoscritti parimenti riportanti il nome di persone e i loro recapiti, documentazione personale, cartelloni, fac-simile di schede e volantini di propaganda elettorale inerente alle consultazioni amministrative appena svoltesi a Triggiano.

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