«La carenza di personale nelle carceri ha raggiunto un livello tale che se i detenuti di Italia decidessero di fare un’evasione di massa semplicemente ci riuscirebbero, non lo fanno perché sono dei cittadini anche loro». Ne è convinto Piero Rossi, garante regionale dei detenuti della Puglia, che lancia l’allarme anche sulla mancanza di professionisti del settore sanitario, medici e infermieri, all’interno degli istituti di pena e si scaglia contro le parole pronunciate dal ministro della Giustizia Nordio al momento del suo insediamento.
La Puglia è tra le Regioni in cima alla classifica per il sovraffollamento nelle carceri. Quale criticità emerge nei primi mesi del 2023?
«Abbiamo un difetto di garanzia del diritto alla Salute. Ci sono pochissimi medici e infermieri. Una situazione riscontrabile a livello nazionale della sanità ordinaria e che di riflesso diventa un problema anche negli istituti di pena. Il sovraffollamento, a fronte di una scarsità di agenti della polizia penitenziaria, rischia poi di mettere in crisi anche il sistema del terzo settore e del volontariato che tradizionalmente entra in carcere. Ma senza personale che deve svolgere attività di controllo non si può dar vita alle iniziative».
Nel mese scorso un detenuto è morto in cella all’interno dell’istituto penitenziario di Lecce…
«Lì si discute la tempestività dell’intervento che non può che essere commisurata alle postazioni di vigilanza. Se poche persone devono controllare tanta gente può capitare che ci sia una mancata presa in carico tempestiva. Una cosa è certa: i presidi medici dovrebbero essere proporzionati al numero di persone che risiedono nella struttura».
Cosa serve, allora?
«Quello che manca è un investimento serio. Servono soldi anche per le carceri che vanno ristrutturate. Non bisogna crearne di nuove, ma sostituire quelle vecchie. Prendiamo ad esempio il carcere di Bari, è strutturalmente incompatibile con la detenzione di persone ed ha addirittura un piccolo ospedale interno. È un edificio storico come quello di Turi, che è il luogo dove sono stati Gramsci e Pertini: sarebbe il caso diventasse visitabile ma non è vocato alla residenzialità dei detenuti. Mancano spazi di socialità, sacrificati sull’altare del sovraffollamento. L’umanizzazione del carcere deve passare innanzitutto dalla sua architettura».
Per rivedere questa architettura servono fondi. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio alla sua prima uscita pubblica aveva annunciato che «le carceri sarebbero state una priorità». Cosa rimane di quelle parole?
«L’ha detto quando si è insediato e poi se lo è rimangiato. Quando abbiamo ascoltato le sue affermazioni noi addetti ai lavori abbiamo esclamato: “Finalmente”. Ma non ha dato nessun seguito alla promessa. Queste riforme non si possono fare a saldo zero».
Il Sappe chiede la chiusura del carcere di San Severo. «È un doppione in piccolo di quello di Foggia», è l’obiezione mossa. Cosa ne pensa?
«Dire che a San Severo possiamo rinunciare ad un istituto di pena, che vorrebbe dire riversare la popolazione penitenziaria in altri istituti, non è molto prudente. Pur essendo molto rispettoso di chi è abolizionista, allo stato attuale c’è bisogno di ragionare con pragmatismo».
In che modo la riforma Cartabia può incidere sul sistema carcerario?
«Trovo che sia una riforma perfettibile, che auspica una riconciliazione sociale. Il fatto che sia il giudice di cognizione a far partire delle misure alternative è una grande cosa, ma va fatta con forze in campo nuove. Ci vogliono molti più fondi e risorse professionali adeguate».