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Boom di occupati in Puglia ma c’è chi resta indietro: aperti quaranta tavoli di crisi

I numeri su export e occupazione promuovono l’economia pugliese nel suo complesso. Ciò non toglie, però, che ci siano tante crisi industriali che stentano a trovare una soluzione. Sono quaranta i tavoli di crisi aperti a livello regionale. In alcuni casi si tratta di situazioni risolte ma monitorate dalla task force della Regione. In altri,…

I numeri su export e occupazione promuovono l’economia pugliese nel suo complesso. Ciò non toglie, però, che ci siano tante crisi industriali che stentano a trovare una soluzione. Sono quaranta i tavoli di crisi aperti a livello regionale. In alcuni casi si tratta di situazioni risolte ma monitorate dalla task force della Regione. In altri, invece, si stenta a trovare una soluzione e si tampona, attingendo alla cassa integrazione per non disperdere il tessuto sociale ed economico delle imprese. «Ogni qual volta si riesce a mantenere la continuità occupazionale, anche a orari ridotti, è un successo – sottolinea il presidente della task force regionale Leo Caroli-. Quello che manca oggi è una politica industriale nazionale. La Puglia ha fatto tutto quello che da sola poteva fare e i numeri ce ne danno la prova».

Dopla spa: il difficile cammino verso la sostenibilità

Tra i casi più emblematici, che racconta anche le difficoltà del mondo industriale ad adattarsi alle nuove regole ambientali, c’è la crisi della Dopla spa a Manfredonia. Si tratta di una impresa che realizzava posate in plastica. Dopo aver effettuato importanti investimenti per rendere la produzione sostenibile grazie all’utilizzo di bio plastica e carta è arrivato il Covid. È andata in crisi durante la pandemia, quando una vita meno all’area aperta ha di fatto annullato le gite fuoriporta e, di conseguenza, l’utilizzo di materiale usa e getta. Il licenziamento collettivo ha lasciato senza lavoro ottanta dipendenti.

Italian Leather spa: un pezzo di storia manifatturiera appesa a un filo

A Monopoli (Ba) non trova soluzione ad oggi la crisi della Italian Leather spa. È l’unica conceria del Mezzogiorno che realizza pellame per l’automotive. La crisi del mercato dell’auto si è ripercossa inevitabilmente anche sulle ditte esterne. Così come per la Bosch a Bari (700 dipendenti, nessun licenziamento almeno fino al 2027), l’obiettivo sul quale si è lavorato è quello di mantenere in fabbrica tutti e 195 lavoratori ma a orario ridotto tramite i contratti di solidarietà. Ci sarebbero almeno due proposte di acquisto sulle quali si starebbe lavorando.

Minermix srl, 60 in cassa tra Fasano e Galatina

Così come per Italian Leather spa la crisi è legata alla sofferenza di un intero comparto, lo stesso accade per la Minermix srl. Si tratta di una impresa mineraria, con una cava a Fasano (Br) e una a Galatina (Le), che ha visto ridursi progressivamente le proprie forniture per la produzione di acciaio parallelamente alla riduzione di produzione da parte del siderurgico di Taranto. La portata annua dell’ex Ilva è passata da otto milioni di tonnellate nel 2012 a 2,8 nel 2022. I sessanta lavoratori della Minermix srl oggi sono in cassa integrazione in attesa che ci sia una proposta concreta almeno da parte di uno dei due soggetti interessati all’acquisto e al rilancio.

Ex-Alcar, il rebus dei lavoratori rimasti nella vecchia società

L’Ex-Alcar di Lecce, circa un anno fa, ha intrapreso il percorso di reindustrializzazione grazie all’acquisto da parte del gruppo bergamasco Ovv spa. Quella della fabbrica salentina è una storia di grande eccellenza in quanto produce componenti per il movimento tecnico nelle grandi aziende, soprattutto nell’automotive. Il rilancio ha permesso la stabilizzazione di quasi tutti i 120 dipendenti ma restano in un limbo un centinaio di lavoratori rimasti nella vecchia società in liquidazione. L’idea per loro era il graduale rinserimento nella produzione ma la mancata ripresa di tutto il settore dell’auto rende sempre più complicato il raggiungimento di questo obiettivo.

Dema spa: il riassorbimento difficile di cento dipendenti

Una situazione simile è quella che riguarda la Dema spa di Brindisi, società specializzata nella costruzione e manutenzione di aeromobili, per la quale ci sono due manifestazioni di interesse per l’acquisizione. Le difficoltà del mercato hanno reso difficile il reintegro di cento lavoratori, mandando in tilt il piano di riassorbimento. Scongiurata, però, l’ipotesi iniziale di una chiusura dello stabilimento brindisino che la Dema spa aveva valutato in un primo momento (l’altra sede è a Napoli).

Baritech: una storia finita male

Quella della Baritech, nel capoluogo pugliese, è una storia senza lieto fine. Qui in 150 producevano lampadine. A seguito di una profonda crisi, lo stabilimento fu riconvertito nella produzione di mascherine. Ha svolto un ruolo importante durante la fase più calda della pandemia, lasciando immaginare che un cambio di passo fosse possibile. Purtroppo, però, non è stato trovato un accordo con nessuno dei soggetti interessati, lasciando i lavoratori senza prospettiva. Il 31 gennaio sono stati licenziati i 114 lavoratori rimasti.

Ex Albini: due manifestazioni d’interesse

Un’altra storia che sembrava orientata al lieto fine ma che attende ancora di scrivere l’ultima parola è l’ex Albini di Mottola (Ta). L’azienda di tessitura impiegava 120 dipendenti. In un primo momento si era fatta avanti per la riconversione la Motion Italia. Il mancato accordo, però, ha fatto saltare tutto. Sul tavolo al momento ci sono due manifestazioni d’interesse. Basterebbe che una si trasformasse in offerta vincolante per ridare una prospettiva a 120 famiglie.

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